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October 13th, 2024
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Merzliak Guido Sei Incontri Da Raccontare Reverdito

Sei incontri con personaggi fiumani

È il suo primo libro?
“Sì, il primo”.

Scrittura asciutta, frizzante, cede spesso all’ironia. Riguarda l’incontro con sei personaggi “da raccontare” come specifica nel titolo l’autore, Guido Merzliak. Sfogliamo. Scusi, che ci fanno Abdon Pamich e Claudio Frank in questa rosa di nomi.

“Sono fiumani, come me. Uno, sportivo, simbolo dell’amore per le grandi prove, capace di convogliare nella sua disciplina l’anelito a una nuova dimensione lontano da casa, quasi un omaggio alla sua Fiume; l’altro, un artista che accoglie chi bussa alla sua porta, con slancio e spirito critico, ‘ricordati Guido – mi diceva – che il bianco è oro’ e se ne andava sornione a inseguire i suoi successi lungo le strade di Volosca gremite di pubblico in occasione del festival dell’arte noto come Mandracchio”.

Ma lei è nato a Trento…
“Non ha importanza dove uno nasce, conta il contesto. La mia storia familiare ha la complessità di tutte quelle numerose per quantità di figli e parenti. A casa mia i ‘raduni’ erano frequenti, improntati su un senso d’appartenenza molto forte. I miei genitori sono nati a Fiume, erano compagni di classe, lo ricorda nei suoi scritti anche Bruno Tardivelli. Si innamorarono tra i banchi di scuola e neanche l’esodo riuscì a separarli. Pur raggiungendo località diverse, si ritrovarono a Trieste per convolare a nozze nella chiesa di S. Antonio Nuovo. Per ragioni di lavoro si trasferirono a Trento dove siamo nati noi figli, Franco, io e Saverio”.

Nel primo incontro-racconto del suo libro la ritroviamo in Alta Uniforme Storica della Polizia Municipale. Scopriamo che è laureto in lingue, dipinge, scrive, ha fatto il grafico e che adora la bicicletta in sella alla quale ha percorso le strade di montagna incontro ai giri mondiali, ma anche le vie di Fiume e dintorni per arrivare a Volosca a incontrare il pittore Claudio Frank. Ma chi è Guido Merzliak?
“Tutto questo, da aggiungere anche l’amore per il mare e il canottaggio che mi hanno portato recentemente a Trieste dove mi sono trasferito da Trento dopo il pensionamento. È vero, mi sono laureato in lingue straniere all’Università di Verona, da pendolare. Poi ho insegnato e parallelamente collaboravo con vari giornali producendo vignette e caricature ed entrando lentamente nel mondo della grafica editoriale. È stato il mio contributo personale alle varie realtà dove ho avuto modo di lavorare. Ho sempre amato disegnare, ma adoro produrre incisioni, bassorilievi, busti e ritratti bronzei, le xilografie sono la mia passione per le quali uso in particolare la fotografia che serve da ispirazione e base di partenza. A un certo punto della mia vita si è presentata l’opportunità di accedere a un concorso pubblico e sono entrato nel corpo della Polizia Municipale. Sentivo di svolgere un’attività di valenza sociale, spesso però incontravo un muro di diffidenza nelle persone che non mi piaceva, mi metteva a disagio. Ma avevo la mia biciletta che mi portava ovunque, una consolazione infinita. La mia passione per i ‘giri’ guidava l’esplorazione del mondo visto attraverso il filtro dell’agonismo e delle grandi sfide. Così ho conosciuto personaggi eccezionali dei quali sono diventato amico regalando loro le foto, le xilografie, i bassorilievi per il piacere di donare, per la gioia di nuovi incontri. Avendo studiato lingue, non avevo barriere da superare nella comunicazione. Ripenso alla Fiume raccontata dai miei parenti, multilingue, multiculturale, credo si tratti di un tratto genetico che si traduce nell’amore per la conoscenza dell’altro. Mio padre è rimasto vedovo a settantadue anni, abbiamo deciso di andare assieme a Fiume a vedere i luoghi dell’anima, è stato molto bello e formativo. Cercavamo il silenzio, le vie meno frequentate, per ritrovare quella dimensione molte volte evocata, per creare altri ricordi per noi due, pienamente condivisi”.

La cosa più bella?
“L’occasione di conoscere le persone. Claudio Frank mi ha regalato gioia, mi ha consegnato le chiavi del suo atelier perché potessi lavorare, sperimentare, perso nei suoi colori e nell’immagine del Quarnero. Ogni tanto un tuffo tra le onde davanti a Volosca, senza alzare la testa, un tutt’uno con la profondità del mare, gioia infinita, pienezza, liquido amniotico mio e della mia gente”.

Come è stato l’incontro con Pamich?
“L’ho rincorso, lui è stato gentile, parco di parole, ma generoso nei gesti. Ci siamo incontrati più volte a Roma, dove ho visitato il Museo della Società di Studi Fiumani scoprendo l’altro Carmino Butcovich-Visentin, quello delle ‘Macete fiumane’: volevo vedere il suo autoritratto custodito nel Museo d’Arte Moderna di Fiume e mi sono rivolto alla sua direttrice, splendida donna dagli occhi azzurri. Mi ha colpito la sua gentilezza. Mi piace l’arte, a casa mia è sempre stata presente e in quella delle zie e loro amiche fiumane che creavano quel circolo speciale di sentimenti, notizie, tradizioni, usi e costumi all’interno dei quali noi seconde generazioni siamo cresciuti e ci siamo formati. Non a caso mio fratello Saverio scrive e pubblica libri nei quali rivela le sue origini e la sua Fiume attraverso la storia che l’ha caratterizzata. Vive anche lui a Trieste, la sua presenza è stata un aiuto importante nel mio trasferimento per il quale fondamentale è stato aver trovato casa vista mare col Carso alle spalle, il che non ha prezzo”.

Perché è andato a cercare Frank?
“L’ho scritto nel racconto che lo riguarda: in questo atelier, dopo la guerra, cioè dopo che aveva optato per l’Italia, Carmino Butcovich, passava lunghi periodi, godendosi il mare di Volosca, i colori della natura. Finalmente sono nel posto dove Butcovich ha lavorato – mi dicevo – e cercavo qualche traccia della sua permanenza, qualche schizzo, un suo pennello, una tela appena abbozzata. Mi sentivo molto archeologo che cerca il tesoro dei faraoni scavando nella sabbia di uno stabilimento balneare. Trovai, tra la montagna di carte, delle riproduzioni di alcuni suoi quadri, che a volte Frank adoperava come spunto”.

Perché Butcovich?
“Perché c’era un suo quadro nella casa delle tre sorelle Corich, le figlie del capostazione di Fiume che nell’esodo erano finite a Bolzano. Erano grandi amiche delle mie zie e anche quando l’ultima raggiunse una veneranda età si assicurò che l’opera di Butcovich non finisse in mani ‘straniere’. Venne consegnata a mio padre che ne conosceva la storia: era stata commissionata a un artista fiumano di loro conoscenza, incontrato a Santa Margherita Ligure durante una vacanza estiva, volevano un ricordo della loro terra lontana, nell’altro golfo, quello a nord dell’Adriatico. L’artista era Carmino Butcovich, nato a Fiume nel 1903, aveva la medesima età di mia zia e della Corich, figlio a sua volta di un pittore. Il suo nome compare nel catalogo della V Mostra sindacale d’arte della provincia del Carnaro del ‘33, dove espone ben cinque quadri, tra questi l’autoritratto…”.

E quindi ha indagato…
“E non mi fermo, questi incontri sono come dei contenitori infiniti, uno ne rivela un altro e così via, ogni incontro è come raggiungere una tappa che prelude a tante altre, un rosario che mai si esaurisce. Così è nato il libro, per fermare i ricordi, ma non il desiderio di esplorare”.
Mostre da fare, oggetti da inventare, Guido è incontenibile. Magari potrebbe tornare a Fiume a San Vito, un’altra perla, un’altra occasione alla ricerca di un mondo che è sempre stato a modo suo.

Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Guido Merzliak
Fonte: La Voce del Popolo – 01/06/2024