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October 4th, 2024
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Livio Zupicich: un manifesto per Fiume, la sua città

Livio

Autore: Rosanna Turcinovich Giuricin

La Torre civica, i colori della bandiera fiumana. Pochi elementi sono bastati a Livio Zupicich per regalare al Primo Incontro Mondiale dei Fiumani un manifesto che ben rappresenta l’appuntamento. Per lui non è stato difficile anche se l’emozione, ad un certo punto, l’ha preso. Livio Zupicich vive e lavoro a Perugia: la sua specialità sono proprio la comunicazione e il design. Un fiumano eccellente, che ha realizzato, professionalmente, tanti sogni della sua vita ma che non disdegna di raccontarsi in quest’incontro prima del grande meeting a Fiume al quale ha deciso di non mancare. Anzi, annuncia, “probabilmente realizzeremo un video con degli amici che vogliono seguirmi in questa esperienza quarnerina”. Zupicich, probabilmente sa tutto di questo suo cognome? “Mi hanno detto che deriva da Zupan, autorità identificata come capo villaggio, prete, medico, o Zupancich figlio di un prete. Non mi ci vedo come tale. Mio nonno paterno navigava sui bastimenti in tutto il Mediterraneo, un essere libero, ironico e donnaiolo. Aveva sposato una signora di buona famiglia, una Grossich, e tutte le volte che tornava dai suoi viaggi la metteva incinta, infatti hanno avuto dodici figli tra maschi e femmine. L’ultima, zia Anna, è morta a 109 anni due anni fa”. Ma da dove proveniva la famiglia? “Credo, ma non sono sicuro, che fossero originari di Albona- Rependa. Uso il plurale perché i miei genitori appartenevano alla medesima famiglia essendo cugini, la nonna materna era Zupicich Caterina. Dalle nostre parti succedeva spesso che i primi amori nascessero tra consanguinei, eravamo numerosi e ogni tanto c’era qualcuno che giocava al dottore, la mia attività preferita”. Lei appartiene alla generazione di coloro che erano bambini durante l’esodo, cosa ricorda? “Esatto, sono nato a Fiume, in via Trieste. Mia mamma per partorire ha impiegato ben due giorni e su consiglio di mia zia Vittoria sono nato in una bacinella piena di camomilla. Una delle cose che ricordo di Fiume era il barbiere in Braida che mi tagliava i capelli a spazzola. Ricordo anche che d’estate andavamo ospiti nella villa di Abbazia dove abitava la sorella di papà che aveva sposato un uomo importante. Tra gli zii ce n’era uno antipatico che si era italianizzato il cognome ed era molto snob. Durante una festa aprii un rubinetto e per poco non allagai tutta la casa, con grande scandalo dei suoi ospiti. Andò a finire che non misi più piede in quella casa, ma non ne fui dispiaciuto. Il resto dell’infanzia lo passai a Pola dai nonni materni, in completa libertà”. Un esule ante litteram... “Sì, e figlio della lupa. La zia Vittoria, sorella di mio padre, mi aveva cucito la divisa, ne andavo molto fiero anche se i pantaloncini mi irritavano le cosce. Chissà che tipo di tessuto era stato utilizzato. Mio padre lavorava al silurificio Whitehead e qualche volta mi portava a vedere i lanci e i recuperi dei siluri. Mi sentivo importante”. Che cosa rappresenta Fiume per lei? “Ho una grande nostalgia della mia terra, irrazionale perché quando sono ritornato a Fiume e a Pola non mi sembravano più quelle della mia fanciullezza. Il Corso, La Torre, le domeniche a passeggiare, i nuovi arrivati avevano cambiato molte cose cancellando quelle che sentivamo essere le nostre eredità spirituali”. Quali i sogni da ragazzo, che cosa voleva diventare? “Avevo uno zio materno che era direttore del Credito Italiano e il sogno di mia madre era che seguissi le sue orme. Infatti, dopo la maturità entrai a far parte della grande famiglia bancaria. Mi spostavano spesso, da un servizio all’altro, perché nessun capo ufficio mi amava. Quando detti le dimissioni per andare a lavorare come assistente di un big del marketing, in una società che produceva apparecchiature elettriche, il più felice ne fu mio zio”. Ma lei in compenso aveva capito quale fosse la sua strada? “Non ancora. Vi rimasi solo un anno, dopodiché riuscii ad entrare al Corriere della Sera come agente pubblicitario. Era il periodo in cui nasceva la rivista Amica che doveva essere promossa fra i potenziali clienti e le varie agenzie. Vita beata al Corriere, ambiente stimolante, giornalisti importanti e simpatici. Ero sempre in redazione a curiosare ma cominciava ad affascinarmi la pubblicità per la quale già lavorava mia sorella che mi raccontava cose mirabolanti. Tra le agenzie di pubblicità che visitavo c’era la Mac Cann Erikson, la numero uno al mondo. Decisi che quella doveva essere la mia vita futura. Bisognava puntare in alto, chiesi un colloquio con la segretaria del presidente che non avevo mai visto né conosciuto. Nonostante ciò mi convocarono ed io mi offrii di lavorare per sei mesi allo stipendio più basso salvo essere poi giudicato sui risultati raggiunti. La proposta piacque al presidente. Lasciavo un posto meraviglioso al Corriere della Sera per una realtà molto ma molto stimolante”. E dopo quei sei mesi, la favola? “Esatto. La fortuna mi aiutò, il presidente Mr Thomas, si congratulò in bacheca perché ero riuscito ad acquistare un nuovo cliente: la ‘Camomilla Montana’. La camomilla si ripresentava ancora nella mia vita e faceva rinascere le energie comunicative. Lavorare in pubblicità negli anni Sessanta significava appartenere ad un’élite. Ho avuto grandi clienti e molti successi in tutto il mondo, mi sentivo orgoglioso di riuscire a comunicare, mi dava entusiasmo. Ad un certo punto mi trovai a lavorare per la Buitoni Perugina: l’amministratore delegato Paolo Buitoni, appassionato di basket, mi incaricò di fare una ricerca sulle sponsorizzazioni sportive essendo intenzionato ad entrare nel mondo della pallacanestro, come sponsor. Un’altra svolta. La ricerca ebbe successo presso il Ministero della Gioventù a Roma. Da lì a trovarmi responsabile di una squadra romana, di un college, di muovermi nella serie A americana, fu tutt’uno. Credevo di essere arrivato ma era solo l’inizio. Paolo Buitoni mi volle quale responsabile delle relazioni esterne del gruppo per tutto il mondo, Brasile, Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Italia. Ero assistente dell’amministratore delegato e dovevo rispondere solo a lui. Ma le cose cambiano, anche gli amministratori delegati. I nuovi vollero cancellare ciò che era stato fatto precedentemente”. Ma c’era solo il lavoro nella sua vita? “No, nel frattempo mi ero sposato una ‘perugina’ con la quale ho messo al mondo tre figlie meravigliose ma che non era assolutamente d’accordo di seguirmi a Milano dove mi attendevano ponti d’oro. Scelsi l’amore e rinunciai al business. Aprii un’agenzia di pubblicità in una città dove vigeva la convinzione che i soldi per la reclame fossero buttati via. Tempi durissimi anche perché non c’era nessuno che conosceva questo mestiere. Facevo il fattorino, la segretaria, il creativo, l’account, il contabile, 26 ore al giorno per sopravvivere, ma sapevo che sarei riuscito a creare una piccola entità autonoma indipendente con persone entusiaste come me. La fortuna mi aiutò ancora una volta. Incontrai Marco Fagioli che adottai subito come un figlio. Avevo bisogno di lasciare la mia eredità spirituale e lui mi diede tutto il suo entusiasmo di giovane e la sua energia e disponibilità per realizzare un altro sogno nel cassetto. Siamo insieme ormai da 13 anni, basta uno sguardo per capirci”. E con lui che vuole realizzare un video su Fiume? “È giunto il momento di fargli vedere da dove arrivo, dove sono nato, fargli sentire l’aria che scende dal Monte Maggiore, fresca e frizzante, che fa venire voglia di bere un bicer de vin, cantar con in brazo una bela mula, i nostri motivi”. Con Marco ha elaborato una nuova metodologia di lavoro che tende ad affrontare ogni problematica da un punto di vista globale, nella convinzione che non sia più possibile parlare di graphic/industrial/ architectural design, ma solo di linguaggi, volumi, forme, immagini. Una progettazione totale, convinti che in fondo non ci sia molta differenza tra un piatto di spaghetti al pomodoro e un progetto di design; non basta mischiare gli ingredienti nell’ordine corretto. Serve un buon cuoco. Provate a definire un buon cuoco e definirete un bravo designer. Il resto è una lista di premi e riconoscimenti ad un Malegnaso mulo fiuman.