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Dall’esilio al ritorno – Cinquant’anni di attività della Società di Studi Fiumani 1960-2010

Dall’esilio al ritorno – Cinquant’anni di attività della Società di Studi Fiumani 1960-2010

Autore: Società di Studi Fiumani
Anno di pubblicazione: 2010
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Compete alla Lega Fiumana di Roma il grande merito d’aver rifonda¬to nel 1952, in esilio, la rivista Fiume, sorta nella città omonima, oggi chiamata Rijeka, già nel 1923 quale organo d'informazione culturale della Società di Studi Fiumani, che nel 1960 rinacque anch'essa in esilio. Sostenuta anche da una apposita legge dello Stato italiano (L. 92/2004), oggi la Società di Studi Fiumani opera quale custode dell'Archivio-Museo storico di Fiume che ha sede nel quartiere Giuliano-Dalmata della capitale. La Società ha sempre sostenuto e promosso la ricerca storica con le sue pubblicazioni, organizzando convegni e seminari, favorendo le tesi di laurea riguardanti le terre adriatiche di Fiume, dell'Istria e della Dal¬mazia, sottratte alla sovranità italiana dopo il secondo conflitto mondiale. In tanti anni, con il concorso degli esuli fiumani, sparsi per ogni regio¬ne della penisola e per ogni continente, la Società ha raccolto e conserva un patrimonio archivistico e bibliografico di inestimabile valore e di gran¬de interesse. Notevole il numero delle pubblicazioni che un tale patrimonio ha favorito nel corso degli anni. Un'ampia emeroteca (dove non manca il primo giornale stampato nella città di Fiume nel 1813 Notizie del Giorno), una vasta esposizione di opere pittoriche d'ogni tempo e d'ogni scuola, una rassegna filatelica che va dall'Impero austroungarico all'occupazione jugoslava del 1945, fotografie, "grida", bandi d'epoca e altro ancora (che sarebbe troppo lun¬go elencare) documentano il passato d'una città operosa, ricca di risorse in ogni campo del lavoro umano. La vocazione fiumana per la propria autonomia, che l'Impero au¬stroungarico agevolò e protesse a lungo prima che il vento del nazionalismo esasperato tormentasse l'Europa delle nazioni, favorì la comprensione reciproca con la pratica di lingue e culture diverse, con una netta preva¬lenza di carattere italiano fino alla fine del primo conflitto mondiale. Fu allora che la vittoria dell'Italia esaltò la città lasciata, con la dis¬soluzione dell'Impero austroungarico, a pensare da sola a se stessa. Fiume, per difendersi dalle pretese croate, costituì un Consiglio Nazionale Ita¬liano, che il 30 ottobre 1918 proclamò la volontà unanime di annessione alla madre patria italiana. Bastò allora un coro di granatieri in grigioverde, costretti ad abban¬donare controvoglia una città che li aveva accolti a braccia aperte, per scatenare una folla felice di poter essere italiana. Bastò un Poeta che aveva osato bombardare Vienna e violare Buccari, a due passi da Fiume, per esaltare un popolo di mercanti lasciato solo nel crollo pauroso e imprevedibile di un impero che aveva avuto tutto, tran¬ne estro e fantasia. Il Poeta si chiamava Gabriele d'Annunzio! A due passi, oltre l'Eneo, i croati attendevano il momento buono di poter avere una città che non li aveva mai voluti. Dopo l'effimera esperienza dello Stato Libero, il 27 gennaio 1924 ci fu la tanto sofferta annessione al Regno d'Italia. Venticinque anni dopo l'Impresa dannunziana, alla fine del secon¬do conflitto mondiale la città contesa rifiuterà i croati ancora una volta, scegliendo, chi prima chi dopo, nell'arco di un decennio, con una mag¬gioranza plebiscitaria e il dolore nell'anima, l'esodo. A distanza di tempo possiamo ripercorrere quella storia drammati¬ca che va dal mito distrutto dell'Impero d'Asburgo alla spontanea esaltazione per l'Italia vittoriosa. Passando dal fascino mercantile della propria au¬tonomia alla passione dannunziana si possono ben comprendere le ragioni di quell'esodo compatto e disperato, di quel corale rifiuto dell'occupazio¬ne jugoslava e comunista, anche con la scelta di un destino ignoto in Australia, in Sud Africa, in Argentina, in Canada, dovunque si respiras¬se aria di libertà. Molti furono i fiumani che non si fermarono in un'Italia non sempre pronta ad accoglierli come meritavano. L'esodo fu, soprattutto, il rifiuto di una oppressione politica e di una cultura in assoluto conflitto con una secolare fiumanità sorta tra le rive del¬l'Eneo e le pendici del monte Maggiore ai tempi di Roma antica. I resti di un foro romano apparsi qualche decennio fa nel cuore della Cittavecchia, un arco e la base di un molo d'epoca romana parlano ancora oggi da soli rendendo sicura testimonianza. Per la storia, Fiume nacque parlando lati¬no e visse per secoli usando un dialetto veneto. Tale peculiarità durò fino a quando il suo popolo, pur abituato a conoscere almeno due o tre lingue, non avvertì la disperata necessità, per rimanere libero, di abbandonare be¬ni e case alla Jugoslavia del maresciallo Tito. Uno Stato lontano dalle proprie radici e inaccettabile per la propria cultura secolare. Con il crollo del muro di Berlino e la fine del sistema comunista ju¬goslavo, dal 1989 fu spontaneo e possibile per gli esuli fiumani promuovere un dialogo culturale con la città d'origine, ormai passata alla nuova Re¬pubblica croata, uno Stato che stava costruendo una società libera e democratica. Amleto Ballarini Presidente della Società di Studi Fiuman

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