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March 28th, 2024
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Anna Maria Marcozzi Keller: da Pola a Rovereto

Anna Maria Marcozzi Keller

Protagonista: Anna Maria Marcozzi Keller
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Sono nata a Pola il 14 giugno 1934, in via Monte Cappelletta; i miei genitori erano “regnicoli”, provenienti cioè dalle vecchie italiche province, trasferiti a Pola ed occupati presso la locale Manifattura Tabacchi. Si sposarono a Pola nel 1929. L’occupazione totale mia madre Consiglia la trovò a casa, pensionamento anticipato e cinque figli.
Mio papà Guido, classe 1899, ci teneva a dire che era uno dei “ragazzi del ’99”, infatti aveva dovuto interrompere gli studi per andare in guerra.
Era un ottimo tecnico e mi raccontava essere addetto alla cernita, preparazione ed assaggio dei vari tipi di miscele di tabacco da cui le sigarette. Accanito fumatore, ovviamente, di lui ricordo i capelli grigi e le dita bruciate dalla nicotina. Piccolo di statura, sempre serio, poco incline alla spontanea allegria di noi bambini; doveva quotidianamente confrontarsi con i problemi sul lavoro e la numerosa nidiata, energicamente inquadrata da mia madre.
A Pola, e fino al 1940, viveva anche la famiglia di mia zia Rosina, sorella di mia madre, sposata con Alfonso, avevano due figlie Lucia e Mariuccia, rispettivamente di dodici e dieci anni più di me: ero la loro bambola. Sono vissuta molto con loro, abitavano all’arsenale di Pola (era il magazzino dei tabacchi ed il deposito del sale), di fronte c’era l’Ammiragliato che, rammento, aveva sul tetto una grande bellissima nave con le vele d’oro. Erano queste costruzioni asburgiche, enormi, così mi apparivano allora. Dell’Arsenale ricordo appunto i grandi spazi, i fiori, erano i malvoni, le piante di fico e di gelso.
La mia famiglia abitava invece in via Dante, angolo via Carpaccio: casa Zanetti, terzo piano di un elegante stabile, allora, con mascheroni sugli stipiti esterni delle finestre, ampie scale e porte liberty, saprò poi.
In via Dante abbiamo vissuto sempre anche se mia madre insisteva per avere un alloggio più luminoso. Il suo sogno era quello dei nostri dirimpettai Bancher posizionato a sud-est e con un grande poggiolo fronte strada. Il confronto era perenne.
La mia infanzia è stata breve, ogni qualtratto nasceva un fratello: Pio, Umberto, Luciano, Ferruccio.
Essere primogenita ed unica femmina non è stato un vantaggio.
La scuola: i primi due anni a Pola, in scuole diverse; le compagne di classe della prima e seconda elementare sono nella nebbia totale, ricordo i nomi di una maestra, la prima.
Una splendida fotografia l’ho avuta recentemente e per caso da una bella signora, Ornella, e mi ritrae infatti fra la bimba Ornella e la Mariuccia “Balonci” (era molto grassa) nella foto di fine d’anno, credo della seconda elementare.
Era l’epoca delle parate di regime, della Befana Fascista; la dannazione di mia madre era la “M” (Mussolini), una specie di spillone che veniva agganciato a certe bandoliere bianche della divisa di figlia della lupa, mia divisa iniziativa delle vestizioni obbligatorie dell’epoca, così come le adunate allo stadio per assistere a chissà quale evento pubblico.
Rammento anche gli stivali di mio padre, accessorio indispensabile della sua divisa da fascista, poco convinto ma molto calzato: era una commedia quando, a casa stanco ed accaldato, doveva sfilarseli; ho già scritto che era minuto e, aggrappato alla sedia, pilotava le manovre di mia madre, matronale come figura sia fisica che umorale, che lo liberava con molta fatica da quel supplizio.