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October 12th, 2024
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Leon Kochnitzky La Quinta Stagione Giubilei

Eroi, poeti, pazzi, sognatori alla corte fiumana del Vate

Torna il memoir più bello sulla leggendaria impresa di Gabriele d’Annunzio e dei suoi generosi legionari 

Léon Kochnitzky (1892-1965) fu un protagonista di primo piano nell’impresa di Fiume (1919-1920). Gabriele d’Annunzio affidò al suo ammiratore, poeta belga innamorato dell’Italia, le «relazioni esteriori». Léon, assieme a un altro grande personaggio, Henry Furst, era di fatto l’ufficio stampa e propaganda della città-stato. Si allontanò da Fiume quando capì che Gabriele d’Annunzio non sarebbe andato fino in fondo e non avrebbe perseguito una vera alleanza con la Russia bolscevica. I mesi di Fiume rimasero però l’esperienza fondamentale della sua vita, raccontata in La quinta stagione, forse il memoir più bello su quel manipolo di pazzi che si fecero trascinare dal Vate in un’impresa tanto disperata quanto romantica. La quinta stagione (di cui presentiamo qui un brano) ora esce per l’editore Giubilei Regnani con la curatela di Federico Carlo Simonelli. La postfazione dello studioso si pone come un fondamentale punto di riferimento, anche scientifico, non solo su Kochnitzky ma sull’intera propaganda dannunziana. 

A Fiume non c’è soltanto d’Annunzio fra la moltitudine dei Legionari, individualità si delineano; anime in cui l’originaria fisionomia non è smarrita, volti che una luce propria rischiara

Vorrei parlare di tutti, vorrei fermare nella mia memoria quegli sguardi di giovani in cui una fiamma inestinguibile ardeva. E primi, quelli che mi erano più prossimi: Luigi Guardini, anima e faccia che una parola sola qualifica: lealtà. Iginio Schiavetti, il genovese atletico, il corriere non eguagliato nell’arte di far perdere la pista alle questure, quegli che navigava sul mar di Sargasso dell’Italia nittiana come un giovane Cristoforo Colombo avventuroso e risoluto. E il giovane poeta fiumano Antonio Widmar elegiaco e sentimentale, disorientato dall’arrivo in massa di tanti Argonauti nella città natale.

Quelli, poi, tormentati da un’ansia intellettuale: Giovanni Bonmartini, intelligenza superiore, acuto nello scrutar le anime, come l’avo suo Augusto Murri nell’indagar i corpi sofferenti. Giovanin Comisso, l’anima più lirica che fosse a Fiume, pellegrino appassionato, ebbro di poesia. Mario Carli, ardito fra gli arditi, che con l’impetuoso Cesare Cerati fondò la Testa di ferro, megafono dell’URE: il foglio che era per noi quel che il Giornale d’Italia per la Consulta ai tempi del barone Sonnino E quel Luigi Colacicchi, compositore di talento piacevolissimo, che allietava la Quinta Stagione d’una ghirlanda di rag-time e di valtzer. E questi amici della causa accorsi di lontano: Philippe d’Estailleur de Chanteraine, parigino gradevole, spirito spregiudicato; e il nobile poeta ungherese Szandor Garvay, due volte perseguitato e condannato: dai comunisti di Bela Kun e dalla dittatura di Horthy. Coloro, infine, che sembravano apportare una presenza patetica: Gigino Battisti e quello studente occhi grigi e sognatori, accento napoletano che un giorno venne a trovarmi e mi disse il suo nome: Luigi Bakounine, nipote di Mikhail. E tanti altri, tanti altri ancora.

Vorrei parlare di tutti. Quanta giovinezza meravigliosa intorno a noi! I bagliori del rogo illumineranno l’intera vita nostra.

* * *

Con mano tremante e malsicura, ho modellato nove medaglie; medaglie d’argilla sèche et fragile. Ho scelto questi volti non perché a preferenza: di altri meritevoli di mirto o di lauro; solamente perché spesso mi sono apparsi lo specchio del mio pensiero, ho visto balenarvi un riflesso della mia angoscia.

GUIDO KELLER Di Keller non si può dire che abbia un profilo d’aquila Piuttosto l’aquila si sforza vanamente d’imitare il profilo di Keller. L’immensa capigliatura nera, quasi azzurra, la barba scura e folta, lo sguardo caldo, le ciglia lunghissime accentuano i tratti indimenticabili di quest’uomo straordinario. Si veste in una maniera spesso incompleta, e talora insolita. Anche gli succede di passeggiare nudo sull’arena a mare o per le petraie del Carso; ma non già per ricerca di singolarità, che abbronzare al sole il corpo agile e ben modellato è per lo scultore la cosa più naturale del mondo: Guido Keller essendo infatti scultore. Avrebbe potuto essere un satiro, un palicaro o un convenzionale; un monaco in Umbria, un brigante in Calabria, un corsaro ad Algeri. Invece era scultore, e a Firenze. La guerra ne ha fatto un aviatore; e che aviatore! La notte di Ronchi il suo intervento ebbe un valore decisivo. Altri me l’ha detto. Mai lui si lascierebbe andare a dichiarazioni simili. A Keller non piace il riconoscersi un’importanza: raramente in un giovane ho visto un disprezzo eguale per i gradi, gli onori, le ricompense. Col passo dondolante e un’aria trascurata, assoluta negazione dell’«aspetto militare», ecco si avanza, portando con sé in gestazione un’idea stramba o geniale. Svolge in poche frasi di sapore ermetico inaspettate teorie metafisico-politiche. Attenti a non cascare in equivoci: non sta per farvi l’esposizione d’un mito platonico ovvero d’un passo di Giamblico o Plotino; si tratta semplicemente di persuadere il Consiglio Nazionale a un «colpo di mano». Il bene e il male, l’elevazione traverso la caduta, il riscatto mediante la colpa, un ramo d’alloro sui cadaveri, un stella che spunta sui roseti: immagini, simboli, aforismi si susseguono; ci si domanda dove andrà a finire si passa qualche momento d’inquietudine rassicuratevi! Nulla è più lucido, più preciso del pensiero di Guido; nulla più armonioso delle forme in cui sa costringerlo. Una lettera sua è una ghirlanda d’immagini smaglianti. Sa eguagliare, tuttavia, gli atti alle parole. Ha il gesto imperioso.

I primi giorni dell’«Impresa» stupì i più sperimentati col suo talento d’organizzatore, l’arte con la quale sapeva tener compatti gli elementi più disformi. Durante le «cinque giornate» il suo tranquillo coraggio, la libera audacia furono meravigliose agli occhi dei più arditi. Moltissimi sono coloro ai quali Gabriele d’Annunzio dà del tu. Ma Guido Keller, solo fra i suoi coetanei, dà del tu a Gabriele d’Annunzio. Né si perita, quando sia necessario, a parlargli con leale e maschia franchezza.

Cuore incendiato dall’amore per l’umanità, sempre trova deboli da difendere, afflitti da consolare, oppressi da proteggere. Ha compreso, questo giusto, che sulla terra le più grandi ingiustizie sono commesse nel nome della giustizia.

Ha caro contornarsi di reietti della società, non ha a disdegno le donne perdute, e sopporta anche i ladri: la sua anima francescana ha salvato molte anime. Nel secolo XIII avrebbero finito col beatificarlo; ai tempi nostri possono capitargli mille incidenti sgradevoli. Gli Scribi e i Farisei lo odiano, questo personaggio incomodo che di tutto s’immischia, che, nello smascherare le ipocrisie piccine non è trattenuto da maggiore ritegno di quando accusi le grandi viltà. Si lavora per farlo passare da matto

Ha portato un asino in aereoplano. Dal sommo dei cieli ha gettato una rosa bianca sul Vaticano, un orinale sopra Montecitorio. Ha preso in affitto, in montagna, il romitaggio, di Cosale; con Furst, Comisso e pochi altri vi trascorriamo nottate intere; improvvisando i decameroni più inconsueti, mangiando pane e miele, bevendo latte. Keller ci alleva un’aquila che ha battezzato Guido come lui. Si lavora per farlo passare da matto. Ha difeso Carlo Reina. Reina non era né un traditore né un intrigante, ma era necessario un coraggio schietto a sfidare il cieco rancore degli ostinati, l’accanimento feroce dei malvagi contro colui che era stato il primo soldato di Ronchi. Talora Keller spariva per varie settimane. Nelle congiunture gravi lo si vede aggirarsi simile agli uccelli degli uragani; egli «sa le tempeste ».

Più d’una volta ha saputo pronunciar la parola che ci voleva, ha fatto il gesto necessario: colla semplice presenza ha reintegrato uno stato di fatto compromesso.

I Legionari l’adorano, gli ufficiali del Palazzo lo temono. Il Comandante gli vuol bene e lo consulta volentieri. I bambini piccini credono che sia il Diavolo.

Guido Keller: il cuore di S. Martino, la barba di Raspoutine, lo sguardo di Machiavelli.

Fonte: Il Giornale – 08/07/2022