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Voto

Il 2 giugno e gli esuli

Lo storico Gianni Oliva, autore de “Gli ultimi giorni della monarchia” pubblicato da Mondadori, ha scritto per “Il Piccolo” un articolo sull’altro 2 giugno 1946 vissuto da Trieste, Gorizia, Fiume, Istria e Dalmazia.

Il 2 giugno 1946, in una giornata di pieno sole, tutta l’Italia si mette in coda davanti ai seggi elettorali. Dopo vent’anni di dittatura e cinque di guerra, si torna a votare: referendum per scegliere tra monarchia e repubblica e consultazione politica per eleggere i parlamentari dell’Assemblea Costituente. Votano tutti i maggiorenni, senza distinzione di censo né di sesso. La partecipazione è massiccia: oltre il 90 per cento degli aventi diritto si reca alle urne.
Ma c’è una fetta consistente della popolazione italiana che non vota perché “non avente diritto”. In primo luogo, gli abitanti di Trieste, di Gorizia, della fascia confinaria orientale sino a Tarvisio e, nell’estremità meridionale dell’Istria, dell’enclave di Pola: si tratta della cosiddetta Zona A, che, secondo il piano di spartizione proposto nel giugno 1945 dal generale William Morgan, capo di stato maggiore del generale Alexander, ricade sotto l’amministrazione militare anglo-americana. Per gli Alleati, la zona è troppo effervescente di tensioni recenti per affrontare una prova elettorale così gravida di implicazioni.

In secondo luogo, non votano gli abitanti di Fiume, della Dalmazia e della parte dell’Istria compresa dallo stesso piano Morgan nella Zona B, dove si è stabilita l’amministrazione jugoslava: il governo di Tito sta conducendo una politica di “slavizzazione” forzata del territorio per ottenere l’annessione definitiva; le scadenze elettorali italiane gli sono del tutto estranee.
In terzo luogo, non votano i giuliano-dalmati che già hanno lasciato le loro terre d’origine, perché hanno compreso che nella Jugoslavia comunista non c’è futuro per chi è italiano. Ospitati nei 109 campi sparsi in tutta la penisola, quasi tutti ancora privi di residenza, alle prese con la sfida della sopravvivenza, i giuliano-dalmati non sono considerati “cittadini” con pari diritti, ma “profughi” in stato di emergenza.
Se si considera che anche la popolazione di Bolzano è esclusa dal voto (in attesa delle decisioni della Conferenza di pace di Parigi), il numero di italiani che non possono votare per il referendum e per l’Assemblea Costituente è di circa 500mila. Sarebbe cambiato qualcosa con il voto dei triestini e dei giuliano-dalmati?
Per quanto riguarda il voto politico, è verosimile affermare che le urne non avrebbero premiato i partiti della Sinistra socialcomunista: lo dicono i trend elettorali successivi, lo dice l’atmosfera creata dall’occupazione jugoslava, lo dicono le centinaia di migliaia di profughi che progressivamente lasciano l’Istria. Per quanto riguarda il referendum, fare ipotesi è invece più arduo perché non c’è coincidenza tra voto politico e scelta referendaria. I partiti della Sinistra sono visceralmente filorepubblicani; il partito liberale è filo monarchico; la Democrazia Cristiana ha lasciato libertà di voto. La città che dà la più alta percentuale di consensi alla repubblica è la “rossa” Ravenna, con il 91,2 per cento; ma a livello di regioni, la più repubblicana è il “bianco” Trentino con l’85 (l’Emilia-Romagna si ferma al 77, la Toscana al 72). In realtà, gli Italiani si dividono sulla base delle esperienze storiche maturate dopo l’8 settembre 1943: chi non ha conosciuto l’occupazione tedesca e la guerra civile (cioè gli abitanti dell’Italia meridionale) vota a favore della monarchia; chi ha conosciuto la tragedia del 1943-’45, ne riconduce la responsabilità a Vittorio Emanuele III e vota per la repubblica.
Nelle zone del Nord-est c’è stata tuttavia un’esperienza ulteriore, l’occupazione titina e le foibe; ed è ancora aperta la questione del confine, con la politica aggressiva di Belgrado nello stabilizzare l’annessione della Zona B e le ambizioni sulla stessa Zona A. È possibile che il quel contesto la monarchia avrebbe potuto essere considerata una maggiore garanzia di difesa e che il repubblicanesimo della Sinistra avrebbe insospettito molti elettori, incidendo così su un risultato referendario che non fu netto (54 per cento contro 46).
Le considerazioni sul passato basate sui “se” valgono come esercizio retorico e non hanno valore storico: certo è che la Repubblica e la stessa Costituzione sono nate senza il contributo di tanti cittadini.
Questo conferma ciò che emerge rileggendo la storia nazionale di quegli anni: l’Italia ha scatenato la guerra insieme alla Germania nazista e l’ha persa, ma il prezzo della sconfitta lo hanno pagato solo gli abitanti del confine nordorientale. Con i morti delle foibe. Con i profughi dall’Istria e dalla Dalmazia. E anche con l’esclusione dalle scelte del 2 giugno.

Gianni Oliva, Il Piccolo, 2 giugno 2016