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March 28th, 2024
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– La Barcaccia porta in scena l’esodo con

“Quando tornaremo?” è solo una rappresentazione teatrale dedicata al “Giorno del Ricordo” voluta dall’ANVGD di Trieste e messa in scena nei giorni scorsi al teatro dei Salesiani del quartiere popolare di San Giacomo, che suscita comunque riflessioni e considerazioni: il teatro è un’arena, si ride e si piange, si applaude e si fischia. La messinscena si deve a Giorgio Fortuna, Nicoletta Destradi e Corrado Cattonar ed è stata realizzata dal Gruppo Teatrale “La Barcaccia”. Sin dalle prime battute si avverte il peso del silenzio durato troppi anni in cui proporre argomenti come quello dell’esodo a teatro era un compito che esulava dagli impegni delle associazioni, che si occupavano di altre questioni, immediate e contingenti, casa e lavoro prima, diritti di vario genere dopo. Solo con la legge sul 10 Febbraio si è avuto il coraggio di abbandonare le ombre per palesare la propria presenza anche in campo culturale. L’editoria ha aperto la strada con un’abbondante produzione di memorialistica, romanzi, racconti, poesie. Più timido il teatro, ricordiamo alcuni pallidi tentativi e poi l’iniziativa dell’associazione dei “polesani” che con la loro Cisterna hanno inaugurato un nuovo filone. Anzi, a loro si deve un’operazione intelligente, la trasformazione dello spettacolo in video con l’intervento di un regista accorto che ha evoluto la tematica dandole spessore e valore intrinseco.
Ora segue il tentativo della Barcaccia. Non facile se si pensa a quanto materiale sia stato scritto nel tempo, ai fiumi di parole spesi in dieci anni del Giorno di Ricordo, all’impegno del Capo dello Stato, allo spirito di Trieste. Grandi cambiamenti che raramente trovano risposta nei programmi e progetti delle associazioni, salvo laddove un approccio scientifico ed altamente professionale riesce a fare la differenza.
Questa la necessaria premessa per commentare quanto abbiamo visto al teatro dei Salesiani. Ancora una volta c’è stato il bisogno, per parlare di esodo, di tornare alle origini, al campo profughi con le coperte diventate pareti, lo scarno arredo di anni difficili, la nostalgia, la paura, la rabbia, lo sbigottimento di chi si è lasciato alle spalle pochi beni materiali ma la pienezza di una vita persuasa. In effetti il titolo è catartico, Quando tornaremo…(indietro)? La risposta è nell’aria, “adesso” se non si riesce ad andare oltre. Ma il ritorno non è alle proprie case e cose abbandonate, alle anime perse e raminghe, il ritorno è a quella nostalgia che è stata per decenni l’unico e solo sentimento concesso all’esule e che sembrava se non archiviata almeno superata.
“E dopo – scrive in una poesia Grazia Maria Giassi, lauranese – semo andadi via, come foie coi refoli de Bora…” Vento capriccioso che raccoglie le foglie negli angoli, a mucchi, così ha fatto con gli esuli a Trieste, li ha pigiati nei quartieri per loro costruiti negli anni Sessanta permeando di sé la cultura di una città. Ma questa è un’analisi che non è stata ancora affrontata. Gli storici si sono occupati degli avvenimenti ma chi ha raccontato della dignità della nostra gente che ha costruito carriere lavorative e politiche, si è imposta in posti di dirigenza, ha vinto premi letterari, e così via? L’immagine che se ne deduce, anche dallo spettacolo della Barcaccia, è invece quella di un popolo vinto, che si piange addosso, che continua a leccarsi le ferite…Dov’è quel riscatto che l’ha fatto diventare protagonista, che lo porta ogni anno al Quirinale? Non l’abbiamo visto. Non sono piaciuti i luoghi comuni – l’istriano che porta via il lavoro al triestino dimenticando che, andandosene negli anni Cinquanta, gli alleati avevano portato ad uno sconvolgimento dell’economia della città. Perché la nostra gente si sente sempre e comunque responsabile anche quando è soprattutto una vittima?
La scelta di uno spettacolo basato non su una storia, intesa come trama che non c’è, ma su delle sensazioni, ha suscitato commozione da romanzo ottocentesco ma anche confusione da anni 2000 per i non addetti ai lavori che probabilmente avranno colto poco del messaggio che si è cercato di veicolare attraverso un “volemose ben” buttato lì per chiudere, senza alcuna premessa o contestualizzazione plausibile.
Concentrati gli esecutori non professionisti che hanno comunque dato il massimo. Numeroso il pubblico a conferma che iniziative come questa sono senz’altro apprezzate e avrebbero bisogno di un’evoluzione che punti su quella qualità che nel 2013 è giusto esigere. Alla fine un omaggio alla famiglia di Lino Relli, compianto segretario dell’ANVGD triestina per tanti anni, che si è spesa per la realizzazione dello spettacolo.
Rosanna Turcinovich Giuricin

L’Osservatore Adriatico