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Trieste Canale

Trieste: a spasso tra i resti antichi di Roma, la città vecchia e i caffè letterari

Nei versi del poeta Umberto Saba emerge la «scontrosa / grazia» di Trieste, città romana, di mare e di montagna, di lingue e culture differenti. Italiana dal 1954, tormentata come la città vecchia demolita negli anni Trenta, il suo animo si riflette anche nei personaggi descritti da Saba, che riesce a cogliere l’Infinito tra le miserie umane.

«Trieste è sempre stata un crogiuolo di razze», scrive Saba. «Su questo trafficante amalgama di persone, cose etnicamente diverse […] la lingua e la cultura italiana fecero da cemento. […] Ma lingua e cultura a parte, Trieste fu sempre, per ragioni di storia naturale dalle quali le città come gli individui non possono evadere, una città cosmopolita. Era questo il suo pericolo, ma anche il suo fascino».
Divenuta italiana solo alla fine della Grande Guerra, Trieste ebbe una storia tormentata anche negli anni successivi. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la città fu teatro di deportazione nelle foibe e assunse uno status di neutralità, risultando divisa in due zone: quella ovest amministrata da un governo militare alleato, quella est affidata alla Jugoslavia. Solo nel 1954 la città ritornò all’Italia.

A Trieste Saba dedicò poesie che divennero celeberrime. Prima della Grande Guerra, quando la città apparteneva ancora all’impero austro-ungarico, Saba compose la raccolta Trieste e una donna. Vi fa parte il componimento Trieste che presenta la commistione di narrazione, di descrizione e di riflessione che caratterizza tanti componimenti di Saba.
Il poeta attraversa la città e sale un’erta per cercare un cantuccio in cui stare per un po’ da solo. La presenza della coppia di aggettivi «solo» e «pensoso» richiama i versi del Petrarca di Solo et pensoso i più deserti campi in cui il poeta racconta il suo desiderio di trovare luoghi non calpestati dai mortali per sfuggire agli sguardi indiscreti di chi possa vedere come dentro nel suo cuore avvampi l’amore. Nella città il poeta può in un certo senso perdersi trovando il «cantuccio» creato apposta per lui, alla sua «vita/ pensosa e schiva». Trieste, lo ammette lo scrittore, ha un’aria «tormentosa», un’«aria strana» che lui ha respirato fin dalla nascita: l’aria di una città mitteleuropea, che, posta alla confluenza di tanti popoli e di tante culture, negli anni in cui Saba scrive non è ancora italiana.

Trieste non è una città armoniosa e tranquilla, che piace sicuramente al visitatore. Potrebbe anche non piacere, perché la sua è una «scontrosa/ grazia», come quella di un ragazzo «aspro e vorace,/ con gli occhi azzurri e mani troppo grandi/ per regalare un fiore». Trieste può essere paragonata ad un amore che non ti lascia mai tranquillo, perché ha in sé il tarlo della gelosia. Dalle vie che si inerpicano sulle colline si possono vedere le spiagge e le cime delle montagne. Duplice è il carattere della città: di mare e di montagna.
In Città vecchia Saba racconta di aver preso una via della città vecchia e descrive il degrado dell’ambiente che fa da sfondo di tanta miseria umana. Il poeta è catturato dall’umanità che incontra, la

prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore.

Saba scopre in loro la presenza dell’Infinito e del Signore, vi intravede le sue stesse domande, i suoi bisogni, il suo desiderio di Infinito. Il suo pensiero si fa «più puro» quanto più bassa ed emarginata è quell’umanità non inquadrabile nel perbenismo benpensante e borghese.

Che fine ha fatto la città vecchia di Trieste? Purtroppo è stata abbattuta, come Saba lamenta in un articolo scritto nel 1957 su richiesta della figlia Lina che gli chiede di presentare il suo rapporto con la città. Saba ricorda le passeggiate che faceva con la moglie scendendo dalla collina di Montebello e percorreva quasi tutta Trieste.
«Il suo incanto maggiore stava nella sua varietà. Svoltare un angolo di strada voleva dire cambiare continente. C’era l’Italia e il desiderio dell’Italia, c’era l’Austria […], c’era l’Oriente, c’era il Levante coi suoi mercanti in fez rosso, e molte altre cose ancora. Si finiva quasi sempre ina piccola pasticceria antica di città vecchia […] nella quale si confezionavano i dolci migliori che abbia mai assaggiato».

Lì, nella città vecchia, c’era anche la casa natale di Saba che ora non esiste più, è stata demolita negli anni Trenta del Novecento, quando venne abbattuto il ghetto ebraico sotto il regime fascista. Sorgeva in via del Teatro Romano, in una zona maleodorante e sporca. Gli oggetti di culto delle sinagoghe abbattute si trovano oggi al Museo ebraico Carlo e Vera Wagner, in via del Monte 7.
Dopo la demolizione della città vecchia nel 1938 è stato riportato alla luce il Teatro romano (risalente alla fine del I secolo a. C., ma ampliato sotto l’impero di Traiano, che poteva contenere fino a seimila spettatori) che insieme all’Arco di Riccardo (antica porta cittadina della città, edificata I secolo a. C.), ai resti dei templi a Giove e ad Atena (sul colle di San Giusto) e alla basilica paleocristiana (IV-V secolo d. C.) testimoniano l’importanza dell’antica Tergeste (nome latino di Trieste).

Per visitare come si presenta oggi la città vecchia si può partire dal salotto di Trieste, la piazza che dal 1955 (da quando la città tornò definitivamente al nostro Paese) porta il nome di Piazza Unità d’Italia, luogo centrale della vita cittadina, che si affaccia sul Golfo di Trieste a sottolineare la vocazione marittima della città. Dalla piazza ci si addentra nell’attuale città vecchia, in particolare nel quartiere di Cavana (dalle vie strette e talvolta ripide) e nel ghetto ebraico (travolto dal risanamento voluto dal regime fascista).
Se si giunge al Colle di San Giusto, dove si trovano la cattedrale di San Giusto e la fortezza, si può ammirare l’antico centro storico di Trieste, che coincideva con il colle in epoca medioevale.

Saba dedica poesie anche ad altri luoghi triestini che gli sono particolarmente cari, come la Libreria antiquaria, ubicata in via san Nicolò, da lui rilevata nel 1919 e in cui lavorò per tanti decenni con l’amico Carlo Cerne. Così la descrive:

Una strana bottega d’antiquario
s’apre, a Trieste, in una via secreta.
D’antiche legature un oro vario
l’occhio per gli scaffali errante allieta.

Vive in quell’aria tranquillo un poeta.
Dei morti in quel vivente lapidario
la sua opera compie, onesta e lieta,
d’Amor pensoso, ignoto e solitario.

Una volta ancora, come Trieste è specchio del carattere umbratile  e schivo di Saba, anche la biblioteca antiquaria descrive l’aspetto strano e pensoso del poeta.
All’incrocio tra via san Nicolò e via Dante nel 2004 è stata collocata una statua bronzea, opera di Nino Spagnoli, dedicata al poeta mentre si reca al lavoro. Ad indicare il rapporto indissolubile con la città di due altri grandi letterati del Novecento si ergono la statua dello scrittore irlandese James Joyce (sul ponte di via Roma) e quella di Italo Svevo in piazza Hortis.
Saba, Svevo e Joyce frequentavano il Caffè pasticceria Pirona, divenuto luogo di incontro per letterati, come tanti altri caffè storici della città, come il Caffè Tommaseo o il Caffè stella polare.

Tanti altri tesori nasconde la città al visitatore. Prima di salutare Trieste, però, un’ultima sosta è obbligata, ad uno dei luoghi più rappresentativi della città: il castello di Miramare.

Giovanni Fighera
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana – 18/07/2022