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Gli esuli sconfitti si appellano a Roma

Sono diverse le reazioni alla bocciatura che la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha dato al ricorso delle associazioni degli esuli per ulteriori indennizzi per gli espropri patiti. C’è chi, come la deputata di Forza Italia Sandra Savino, interroga il Governo puntando il dito contro Mirjana Lazarova Trajkovska, la giudice della Corte nata nell’ex repubblica jugoslava di Macedonia. Altri, come il presidente dell’Unione degli istriani Massimiliano Lacota o il presidente di FederEsuli Antonio Ballarin, ridimensionano le conseguenze del no, ponendo l’accento sulla necessità di arrivare a una soluzione politica. Con loro anche l’europarlamentare del Pd Isabella De Monte. C’è anche chi, come il presidente delle Comunità istriane Manuele Braico, vede nello Stato italiano e non nelle istituzioni europee l’interlocutore reale.

«È andata come ci si poteva aspettare che andasse», dice Lacota. «Io non voglio criticare l’avvocato Gian Paolo Sardos Albertini (primo autore della battaglia legale, ndr) – dichiara – ma si sapeva che un ricorso contro una sentenza della Corte di Cassazione italiana non sarebbe stato preso neanche in considerazione». Anche l’assenza di motivazioni all’interno della sentenza, spiega Lacota, è questione di prassi, poiché un rigetto non è un giudizio: «È abbastanza normale che la Corte non motivi nel caso in cui rigetta un ricorso». Ciononostante la questione «non si chiude qui», dice Lacota: «Noi ad esempio abbiamo promosso e sostenuto con i nostri legali cinque azioni diverse di cittadini per casi di esproprio attraverso diverse leggi jugoslave e mancato risarcimento da parte dell’Italia». Per il presidente dell’Unione istriani «è chiaro però che le sentenze emesse in passato hanno un valore politico». E questo è per Lacota il piano su cui cercare una soluzione.

Secondo Ballarin «si tratta ovviamente di una cosa dolorosa perché colpisce la nostra gente». «Mi metto nei panni di tutte le persone che hanno sperato di avere giustizia – aggiunge – e non hanno ottenuto nulla». Ciò però è dimostrazione della maggiore «complessità» della realtà, spiega Ballarin: «L’azione giuridica fatta in questi anni partiva dal presupposto illusorio per cui basta presentarsi davanti a una Corte per veder riconosciuti i propri diritti. Bisogna che dall’altra parte ci sia qualcuno disposto a leggere le norme in modo adeguato». Questo ha creato un «muro contro muro» che «ha illuso la nostra gente e dimostra che i nostri problemi si possono superare solo per via politica».

Braico si dice «perplesso dalla decisione». Ma «come associazioni delle comunità istriane non abbiamo mai perseguito questa linea», precisa: «Noi abbiamo sempre puntato all’equo e definitivo indennizzo, che è dovuto dallo Stato italiano. Ai nostri associati abbiamo sempre detto che potevano liberamente perseguire la via di Strasburgo, entrata in voga soprattutto con l’avvicinamento di Slovenia e Croazia all’Ue, ma il nostro interlocutore è sempre stata Roma».

Savino, infine, chiede al Governo «se non ritenga doveroso farsi sentire presso gli organismi internazionali competenti per chiedere le ragioni dell’evidente inopportunità relativa al fatto che ad aver rigettato il ricorso sugli indennizzi alla Corte di Strasburgo sia stata una giudice proveniente proprio da un Paese dell’ex Yugoslavia, dove è cresciuta fino ai 30 anni, e che quindi porta in dote una formazione giuridica e professionale appartenente ad una realtà che è parte in causa nella vicenda». De Monte dichiara: «La questione indennizzi non si può esaurire nelle aule di tribunale: per riconoscere a istriani, fiumani e dalmati un equo risarcimento si devono percorrere tutte le strade consentite, inclusa quella politica, che è anche la più pertinente a livello nazionale ed europeo.»

Giovanni Tomasin, «Il Piccolo», 02/04/15