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April 25th, 2024
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Maturità: Ballarin e Tremul sulla traccia ispirata al pensiero di Magris

Da quando il Giorno del Ricordo è diventato Legge, è mutato profondamente il rapporto con il mondo della scuola, tanto che anche gli esami di maturità diventano un coronamento dell’attività svolta insieme, esuli e MIUR. Da qualche anno, infatti, le tracce si ispirano anche alla complessa vicenda dell’Adriatico orientale, vale dire Esodo e Foibe. Ma non soltanto, quest’anno il passo risulta anche più lungo e coinvolge le frontiere dove si è consumata la tragedia dell’esodo e da dove parte una decisa ricomposizione: sono state scelte infatti, come traccia, le riflessioni di un grande autore come Claudio Magris.
“Quando ho letto il testo consegnato ai ragazzi, mi sono sinceramente commosso” ha dichiarato il Presidente dell’ANVGD, Antonio Ballarin. “Penso sia semplicemente meraviglioso l’aver scelto il brano di Magris come traccia di esame per la maturità di quest’anno. È dolce, accarezza l’anima ma colpisce soprattutto il fatto che i dirigenti del MIUR si siano posti di fronte al dramma della scelta di un confine con così tanta delicatezza, sensibilità e profondità di analisi. Ne ho parlato anche con Maurizio Tremul, Presidente della Giunta UI, che condivide perfettamente la mia posizione ed il mio sentire”.
Ma che cosa dice la traccia assegnata ai ragazzi: “Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue. Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate; mortali, nel senso di soggette alla morte, come i viaggiatori, non occasione e causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte. 
Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte. In Verde acqua Marisa Madieri, ripercorrendo la storia dell’esodo degli italiani da Fiume dopo la Seconda guerra mondiale, nel momento della riscossa slava che li costringe ad andarsene, scopre le origini in parte anche slave della sua famiglia in quel momento vessata dagli slavi in quanto italiana, scopre cioè di appartenere anche a quel mondo da cui si sentiva minacciata, che è, almeno parzialmente, pure il suo.
Quando ero un bambino e andavo a passeggiare sul Carso, a Trieste, la frontiera che vedevo, vicinissima, era invalicabile, – almeno sino alla rottura fra Tito e Stalin e alla normalizzazione dei rapporti fra Italia e Jugoslavia – perché era la Cortina di Ferro, che divideva il mondo in due. Dietro quella frontiera c’erano insieme l’ignoto e il noto. L’ignoto, perché là cominciava l’inaccessibile, sconosciuto, minaccioso impero di Stalin, il mondo dell’Est, così spesso ignorato, temuto e disprezzato. Il noto, perché quelle terre, annesse dalla Jugoslavia alla fine della guerra, avevano fatto parte dell’Italia; ci ero stato più volte, erano un elemento della mia esistenza. Una stessa realtà era insieme misteriosa e familiare; quando ci sono tornato per la prima volta, è stato contemporaneamente un viaggio nel noto e nell’ignoto. Ogni viaggio implica, più o meno, una consimile esperienza: qualcuno o qualcosa che sembrava vicino e ben conosciuto si rivela straniero e indecifrabile, oppure un individuo, un paesaggio, una cultura che ritenevamo diversi e alieni si mostrano affini e parenti.
Alle genti di una riva quelle della riva opposta sembrano spesso barbare, pericolose e piene di pregiudizi nei confronti di chi vive sull’altra sponda. Ma se ci si mette a girare su e giù per un ponte, mescolandosi alle persone che vi transitano e andando da una riva all’altra fino a non sapere più bene da quale parte o in quale paese si sia, si ritrova la benevolenza per se stessi e il piacere del mondo”.
Ma che cosa ha colpito Ballarin e Tremul: “Al di là delle tesi a noi care – rispondono -, ora strattonate e sbandierate per una causa ed ora vituperate, insultate ed oltraggiosamente dileggiate per un’altra, chi ha scelto quel testo ha voluto far riflettere non solo gli studenti, ma commentatori, editorialisti, giornalisti ed opinione pubblica su quel sottile o sconvolgente tormento che sconquassa ancora oggi chi è figlio di una scelta: quella di stare da un lato del confine. Non è cosa scontata una scelta. È drammatica. È tormentata. È sofferta. Qualcuno vorrebbe tornare sui propri passi ma non può più. Altri avrebbero
voluto farla quella scelta. Qualcuno reca rabbia, altri rancore, altri ancora ferite mai rimarginate nemmeno nelle generazioni che sono seguite. Poi l’acutezza del testo fa riflettere sui pensieri di chi resta e di chi va. Sulla inconsistente logica di una bordo che non potrà mai limitare il senso di identità ed appartenenza, ma che lo sfregia, lo annulla e fa sì che altri, che non subiscono la divisione, reputino inesistenti i sentimenti di gente parte integrante di una Terra, costitutivi ad essa eppure sradicati a forza o a forza recintati nei propri luoghi, nei posti in cui l’anima trova la sua corrispondenza”.
Perché la diversità è così difficile?
“Slavo, ‘talian’, venezian: che differenza fa se uno respira la stessa aria, si bagna nello stesso mare, calpesta le stesse pietre, si inginocchia sulle tombe comuni. La differenza è nella mente degli uomini ma mai nell’essenza delle cose. Così il testo di Magris sollecita chi non ha vissuto la scelleratezza di una divisione e disprezza per ignoranza, inconsapevolmente, il dramma umano di chi resta e di chi parte. Fa intravedere una comune appartenenza a chi tale dramma lo ha vissuto e lo vive ancora oggi, incredibilmente, sulla propria pelle, conscio che solo il tempo, la pazienza, l’affetto, la comprensione, il
desiderio di bene e di rinascita, l’amore sconfinato per la propria Terra, indipendentemente da una precaria linea di demarcazione, riuscirà a lenire ogni lacrima”.
Che cosa volete dire ai dirigenti MIUR?
“Dobbiamo dire grazie per la loro scelta e grazie a chi ha scelto di trattare questo tema del 2013 che resterà nella storia. Grazie per aver guardato ad una vicenda che ancora oggi pone domande ed interrogativi su come ricompattare un unico popolo, mai più asservito a logiche di divisone, a
concetti che fanno solo male nel pensiero di chi guarda ad occidente e cerca un volto, di chi guarda ad oriente e cerca una casa, di chi tende la mano ad uno sconosciuto di là da un tratto sul terreno e sogna un’unica identità”. (rtg)

L’Osservatore Adriatico