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Foto Arolsen

“Tre volte amore, tre volte violenza”, una pagina dell’esodo

VIII edizione di “500 Parole”, concorso letterario nazionale organizzato da Spazi all’Arte Aps: Amore non è violenza: terza classificata, Paola Gaspardis, figlia di esuli fiumani. 

Un concorso nazionale, quello di 500 parole, Ostia 2021, giunto alla sua VIII edizione che quest’anno ha toccato un tema che non poteva essere ignorato: amore non è violenza. Un argomento importante che ho affrontato con coraggio, soprattutto nel raccontare una storia a me molto cara. Sono Paola Gaspardis, orgogliosamente figlia di esuli fiumani, nata e cresciuta in un’altra città di mare Ostia, comune di Roma, che ha saputo accogliermi e darmi quella Patria che avrebbe dovuto essere altrove. Da sempre amante della scrittura, poetessa e giornalista pubblicista, ho voluto approfittare dell’occasione fornitami dal concorso, per raccontare una storia importante: quella di mia nonna. Come si dice “tratto da una storia vera”, e non solo, ho fotografato esattamente quell’istante in cui, navigando su internet sono incappata in un sito dell’UNESCO molto particolare “Arolsen Archives”, memoria del mondo, in cui si trovano le schede dei perseguitati del nazismo e non solo: sono registrati anche tutti quegli esuli capitati nei campi profughi gestiti dalle Nazioni Unite. Li dentro, quella sera, ho trovato mia nonna e la sua storia, per quanto nota, mi è arrivata diretta come un pugno allo stomaco. L’ho raccontata con tutto l’amore di una nipote e con tutto l’orgoglio delle mie radici. Ho conquistato il terzo posto e questa vittoria non è solo mia, è soprattutto di mia nonna e della storia che ha rappresentato, di quell’amore e di quella violenza subita, amore per la sua famiglia e per la sua terra. Tre volte amore, tre volte violenza, quanto vissuto e sofferto da quella piccola grande donna.

Paola Gaspardis

L’AMORE NON E’ VIOLENZA – TRE VOLTE AMORE, TRE VOLTE VIOLENZA

Paola Gaspardis

Una serata noiosa, un dito che fa scorrere lo schermo inanimato del cellulare. Lo sguardo si perde tra le parole che scorrono sul display, fino a inciampare in un titolo complicato: “Arolsen Archives”, dedicato alle vittime del nazismo, un archivio on line in cui sorprendentemente non si trovano solo i perseguitati dal nazionalsocialismo, ma anche altre vittime di persecuzioni. Mai avrei pensato di trovarvi mia nonna, Fedora, quella donna minuta, ma dura e tagliente come le pietre del Carso, terra che le aveva dato i natali. Inizia così, il mio viaggio, nelle pieghe di quella notte fino a pochi minuti prima piena di noia e ora inondata di lacrime. Quella storia mi era nota, certo, vissuta sulle melodie di canzoni antiche come “parlami d’amore Mariù” cantata tra le lacrime che le rigavano il viso bello, ma stanco, in cerca di quell’amore immenso che lei aveva donato e che le era stato restituito in forma di violenza.  E proprio con violenza che mi è arrivato il pugno allo stomaco, quando quella storia privata l’ho letta come uno spettatore qualsiasi in un archivio pubblico.

Lì c’è mia nonna, la sua storia, la sofferenza, la sfortuna, ma anche la forza e tutta la sua dignità. Su quel foglio ingiallito leggo “abbandonata dal marito, molto più giovane di lei, parla italiano, croato, ha una figlia piccola..” Abbandonata dal marito non proprio, ma forse di fronte a quel sergente americano dell’IRO nel campo profughi di Servigliano, era l’unica spiegazione che poteva permettersi. Posso solo provare ad immaginare quanto timore potesse esercitare quell’americano in divisa, su quella piccola donna sola, che niente più del fardello di dover salvare la sua bambina ormai, aveva con sé. Aveva dovuto abbandonare la sua terra, il suo lavoro, la sua casa. Quanto amore aveva per la sua città, Fiume, e quanta violenza la Storia le aveva inferto, strappandola via, lei con la sua bambina e altri 350.000 esuli.

L’amore non dovrebbe essere violenza, eppure su quella donna si era scagliata con una forza devastante, che le ha lasciato i segni delle metaforiche frustate fino a quell’ultimo respiro a 98 anni, segnati dal dolore e dall’amore. Violenza subita nello strappo del suo tricolore che avvolgeva la sua terra, violenza dal quel marito che pur avendole dato una figlia, non rispettava quel patto d’amore conducendo una doppia vita accanto all’amante, per poi scappare illegalmente e abbandonarla tra le macerie di una guerra appena passata e le persecuzioni in atto, a guerra finita. Ebbene, una terza violenza si affianca al suo amore: lo strappo violento, irrimarginabile, dalla sua bambina dai biondi boccoli che pur di vederla crescere sana, nutrita e al caldo, cosa impossibile negli innumerevoli campi profughi circondati dal filo spinato, che deve mettere su un treno alla volta del collegio, per dieci lunghissimi anni.

Tre volte amore, tre volte violenza e questo, un essere umano non può sopportarlo, il suo cuore si spezza e il viso si riga di lacrime sulle note di “parlami d’amore Mariù” giusto lei, forse, poteva parlargliene.