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Storia delle masserizie del Magazzino 18

Verso la fine degli anni ’80, nel Porto di Trieste, si stava lavorando alla realizzazione dell’Adria Terminal, moderna infrastruttura portuale per l’importazione e l’esportazione di merci tramite nave. Per riuscire ad avere gli spazi necessari alla costruzione del nuovo impianto, due magazzini dell’antico porto austroungarico dovettero essere demoliti; il magazzino 21 ed il 22, entrambi edifici affacciati sul mare. Questi magazzini, tuttavia, non erano vuoti. Al loro interno, infatti, erano state raccolte, negli anni, le masserizie degli esuli istriani depositate a Trieste e raccolte anche dai circa 120 campi profughi presenti lungo tutto lo Stivale. Negli anni 50 e 60, lasciati i temporanei villaggi di accoglienza, furono molti gli esuli che tornarono ai magazzini per riprendersi i propri beni. Ma non fu così per tutti. Molti di loro infatti erano morti, altri invece avevano lasciato l’Italia o addirittura il Vecchio Continente; altri ancora, più semplicemente, non avevano più avuto lo spazio necessario per risistemare nella nuova abitazione (o nei box dei campi profughi), tutti gli oggetti un tempo a loro appartenuti. Pertanto, centinaia di elementi d’arredo ed effetti personali furono lasciati nei depositi. Dopo gli anni del boom economico, nel quale molti beni avevano comunque fatto ritorno nelle mani dei legittimi proprietari, nel 1978 ci fu l’ultimo appello pubblico per portare via dai magazzini i rispettivi oggetti. In quegli anni, tuttavia, nessuno era più andato ritirare nulla. Quando si arrivò al punto di dover demolire i sopracitati magazzini, questi ultimi furono rinvenuti ancora colmi di mobilio ed oggetti appartenuti agli esuli e, così, iniziò il dibattito su cosa fare delle masserize raccolte al loro interno. Lo Stato, dopo l’intervento della Prefettura di Trieste, etichettò tutti i beni rimasti con il nome di “Res Derelicte”, ossia “Cose Abbandonate” e, di conseguenza, decise di appropriarsene per distribuirle presso enti e associazioni sparse sul territorio. Tuttavia, attorno a questo atto, sorsero polemiche in quanto all’interno dei magazzini rimasti incustoditi per molti anni, vi erano entrati piccioni, topi e insetti e quindi si riteneva che i mobili in essi contenuti fossero sporchi, infetti e contaminati; motivo per il quale iniziò a prendere seguito l’idea di abbattere i magazzini con tutto il loro contenuto. Portare alla discarica i diversi quintali di masserizie, avrebbe avuto un costo troppo elevato. Nel 1987, in seguito al grande raduno che gli esuli istriani organizzarono a Grado, in occasione del 40ennale dell’esodo fatto iniziare simbolicamente nel 1947, il popolo istriano-giuliano-dalmata insorse indicando allo Stato che quanto contenuto nei magazzini non poteva finire al macero in quanto elementi simbolici della loro storia. Allora la Prefettura, attraverso un atto, individuò nel neonato Istituto Regionale per la Cultura Istriana, l’istituzione idonea alla quale donare le masserizie affinchè potesse trarne tutti gli elementi per testimoniare la sua triste storia. Di conseguenza, l’IRCI divenne la “proprietaria” delle masserizie. Successivamente, queste ultime, dovettero essere obbligatoriamente spostate altrove e si decise di trasferirle al “Magazzino 26”, luogo ritenuto il più idoneo dall’allora Vicedirettore dell’Ente Porto, Franco Degrassi, oggi numero uno dell’IRCI. Pertanto, fu necessario mettere insieme diverse squadre di volontari per spostare quanti più oggetti possibile nell’arco di 6 mesi di tempo; centinaia di cubi di mobilio e oggettistica appartenuti ai diversi nuclei familiari esodati. Purtroppo, il “trasloco”, a causa delle scarse capacità di trasferimento degli oggetti più pesanti e del tempo ridotto, avvenne alla bene e meglio e, in questa maniera, si sfaldarono i colli di oggetti, i quali, una volta trasferiti nella loro nuova sede, furono ammassati alla rinfusa senza più alcuna possibilità di poterli organizzare secondo criterio. Più della metà del totale, poi, fu lasciato indietro e molti beni andarono altresì persi in seguito allo scoppio di un incendio. Oggi, grazie al grande lavoro svolto da quei giovani volontari, sono rimasti circa 2000 metri cubi di masserizie. Verso la fine degli anni ’90, grazie all’IRCI, si è provveduto a ricatalogare le masserizie quando il Porto obbligò l’ente a liberare il Magazzino 26 in quanto individuato come primo magazzino da restaurare per il rinnovo del Porto Vecchio. Pertanto, tutte le masserizie furono nuovamente trasferite al vicino “Magazzino 18” e li vi rimasero per molti anni. Nel 2013, il cantautore romano Simone Cristicchi, assieme al giornalista Jan Bernas, autore del libro “Ci chiamavano fascisti, eravamo Italiani”, mise in scena la rappresentazione teatrale denominata proprio “Magazzino 18”, portando alla luce davanti a 60 milioni di italiani le vicende dell’esodo giuliano, fiumano, istriano e dalmata; vicende fino ad allora sconosciute ai più. Da quel momento, la storia del popolo istriano divenne oggetto di grande interesse da parte di molti e fu così che iniziarono a pervenire all’IRCI numerose richieste di accesso al Magazzino 18 per poter osservare dal vivo le masserizie.

Oggi, dopo oltre un decennio, grazie all’impegno profuso da una vita dal Direttore dell’IRCI Piero Del Bello e alla sua squadra di volontari, tutte le masserizie giunte fino ai giorni nostri sono state raccolte e sistemate all’interno del “Magazzino 26”, nuovo grande attrattore culturale del Porto Vecchio di Trieste sul quale l’attuale Amministrazione Comunale sta puntando molto per il rilancio del sistema museale triestino e della macchina dell’accoglienza turistica in città. Attualmente le masserizie sono state accorpate al materiale prettamente museale un tempo raccolto nella storica sede di Via Torino, nel cuore del Capoluogo Giuliano. Le masserizie, oggi toccabili con mano, sono l’ultima testimonianza concreta di una tragedia quale è stata l’esodo delle popolazioni giuliane, fiumane, istriane e dalmate, avvenuta durante il periodo di massima operatività del processo di pulizia etnica messa in atto dal Presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia, Josip Broz detto “Tito”, nei confronti di tutti quei cittadini di nazionalità italiana (e non solo) che non vollero abbracciare gli ideali del governo jugo-comunista. Nell’esodo, furono coinvolti tutti gli abitanti dei territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia con il trattato di Parigi e anche la Dalmazia, dove vivevano i dalmati italiani. I massacri delle foibe e l’esodo giuliano-fiumano-dalmata sono oggi ricordati, il 10 Febbraio di ogni anno, nel Giorno del Ricordo, solennità civile nazionale della Repubblica Italiana istituita nel Marzo del 2004.

Gabriele Turco
Fonte: Trieste All News – 22/02/2022