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Arsia

Arsia dimenticata

Estratto della teleconferenza “La tragedia mineraria dell’Arsia 28 febbraio 1940” realizzata dal Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia giovedì 11 marzo 2021.

 

PREAMBOLO

Se Vergarolla deve essere considerata la strage più sanguinosa avvenuta in Italia dalla proclamazione della repubblica ad oggi, la tragedia dell’Arsia, distretto carbonifero istriano, costituisce la tragedia mineraria più dolorosa, con vittime che superano di gran lunga quelle registrate a Marcinelle in Belgio.

Annota Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria, nella prefazione della monografia” ARSIA 2007”:

Le vicende di confine hanno prodotto una rimozione sui morti dell’Arsa: i caduti sono stati considerati croati dall’Italia, italiani e per di più fascisti dai croati. In realtà tra le maestranze ed i caduti vi furono degli italiani, sloveni e croati (evidentemente una grande commistione), nonché immigrati da tutto il nord Italia, dalla Toscana e dalla Sardegna.

 

Non se ne è parlato per lungo tempo ed in questo intervento desidero rinnovarne la memoria.

 

LA TRAGEDIA

Una figura centrale nella storia dell’Arsia la occupa uno dei suoi dirigenti, l’Ing. Augusto Batini, che ci ha lasciato un ricco, esauriente epistolario, e da lui vorrei cominciare.

Però prima desidero tracciare brevemente la storia, che inizia già nell’era veneziana, in cui si pensò di sfruttare il giacimento carbonifero.

Lo sfruttamento vero e proprio cominciò nell’Ottocento, con gli Asburgo, che affidarono l’impresa prima a capitali privati (la famiglia Brunner di Trieste), poi, in seguito a fallimento di questa, a capitali pubblici, tramite una società con sede a Vienna.

Subentrata l’Italia, l’impresa si consolidò passando la proprietà ad un ente che coordinava da Roma tutte le miniere di carbone in Italia.

Ci furono episodi di malcontento, culminati con l’occupazione della miniera durante la parentesi della proclamazione della Repubblica di Albona nel 1921.

Ad Albona circa 2.000 minatori di varie nazionalità (italiani, tedeschi, croati, sloveni, cecoslovacchi, polacchi e ungheresi) crearono la Repubblica di Albona di stampo sovietico, a causa del pestaggio avvenuto a Pisino del sindacalista triestino Giovanni Pipan da parte di una squadraccia fascista.

Dopo 35 giorni, la Repubblica fu repressa dai carabinieri in poco tempo, due le vittime.  Il Tribunale del Regno d’Italia, tuttavia, assolse tutti i ribelli.

Il governo italiano modernizzò gli impianti, provvedendo alla loro elettrificazione, ma le prospettive economiche dell’impresa mineraria dell’Arsia non migliorarono molto, certamente per le difficoltà nello smercio del carbone su base internazionale. Conseguenza ne fu che anche la situazione economica della penisola dell’Istria fu costretta a languire. Ma un cambio avvenne negli anni successivi.

Scrive Anna Millo (da Irsml FVG) Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione)

Il dilemma rappresentato dal carbone istriano fu sciolto nel 1935, quando – dopo le sanzioni economiche proclamate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia – fu creata l’Acai, una società a capitale misto pubblico e privato, la quale possedeva sia l’Arsa, sia le miniere sarde del Sulcis, nell’ambito di un programma sorto per valorizzare la produzione del carbone italiano. Da qui prende avvio la crescita industriale dell’Arsa. Nel 1935 si producevano 350.000 tonnellate circa con 1839 operai, nel 1936 raddoppiano la produzione e il numero degli addetti, nel 1939 si raggiunge il milione di tonnellate con quasi 9.000 operai. L’Arsa era diventata la più grande miniera d’Italia

 

L’ingegnere minerario Augusto Batini entrò in servizio nelle miniere dell’Arsia nel 1926. Nel 1936 e fino al 1939 ricoprì la carica di Direttore Generale.

Dall’Archivio Batini:

L’artefice principale di questo strepitoso sviluppo economico è stato l’imprenditore triestino Guido Segre che nel 1935 con la costituzione dell’Azienda Carboni Italiani (A.Ca.I.), non soltanto collegò le miniere sarde con quelle istriane, ma segnò una svolta decisiva nello sviluppo dei rispettivi bacini minerari con l’intento di assicurare all’economia autarchica fascista la maggiore quantità possibile di combustibili per renderla il più possibile autosufficiente nel campo energetico.

Cito l’impeditore Segre perché le leggi razziali influiranno sulle vicende della miniera.

Così si descrive l’attività dell’Ing. Batini:

Comunque, Batini prima di tutto fu l’anima della miniera: scendeva quasi giornalmente in miniera, cosa più unica che rara, che quindi conosceva a menadito ed era perfettamente consapevole delle sue reali possibilità. Nel 1939, proprio perché si era rifiutato di forzare queste possibilità e incrementare la produzione a dismisura, Batini fu licenziato da parte della direzione dell’A.Ca.I.

Neanche Segre ormai avrebbe potuto fare qualcosa a suo favore perché nel frattempo lui pure era stato costretto a dimettersi in quanto ebreo, a seguito delle leggi razziali del 1938; e, ciò nonostante, da molto prima si fosse convertito al cristianesimo e fosse fin dagli inizi membro del Partito Fascista.

Lascio a voi ogni commento

Un’altra vittima delle leggi razziali fu lo stesso architetto Gustavo Pulitzer Finali, ideatore e realizzatore dell’avveniristico borgo residenziale di ARSIA, parimenti costretto ad emigrare negli Stati Uniti, ove si trattenne.

Con l’allontanamento di Claudio Segre la situazione in miniera peggiorò drasticamente.

La nuova dirigenza della A.Ca.I., posta al vertice, si distinse per capacità tecnica (mancante) e meriti politici (sovrabbondanti).

La prima decisione fu di allontanare Batini per essersi rifiutato di aumentare ulteriormente la produzione nella camera 1, già critica. L’atteggiamento del nuovo Direttore Generale dell’ARSA determinò il malcontento dei lavoratori, che sfociò in proteste e scioperi.

Il Cap. De Luca, incaricato dal Ministero della Guerra di seguire lo stabilimento dell’ARSA, in quanto strategico, riporta in merito:

I Direttori sono anche stati chiamati a Roma e strapazzati, ma dubito forte che possano cambiare totalmente sistema di governo; manca la competenza per dirigere un’azienda così importante, manca assolutamente la comprensione e manca il cuore.

Cuore che Batini aveva dimostrato nell’esercizio della sua professione.

 

Così continua Anna Millo, nel suo saggio

Alle ore 4.45 del 28 febbraio 1940 esplose la cosiddetta “camera 1” della miniera.

L’esplosione pare aver colpito in modo indiscriminato. Le vittime sono originarie per lo più di Albona, ma anche dell’Istria costiera e dell’Istria interna (ad esempio, di Montona, di Pisino) e non mancano neppure immigrati da altre regioni (un fenomeno, questo, del resto ben conosciuto). Coloro che persero la vita, appartengono in maggioranza alla classe di età dei trentenni, giovani padri di famiglia spesso numerosa; in qualche caso sono membri dello stesso gruppo familiare, in quanto fratelli; spesso i celibi hanno a carico i genitori, così veramente il numero di coloro che nella disgrazia furono privati del loro sostegno affettivo e della fonte del loro sostentamento economico appare veramente grande.

E qui cito le poche persone i cui nomi sono stati fatti, in suo tema, da una ragazzina di quarta elementare, Matilde Banko, che frequenta la Scuola Primaria “Giuseppina Martinuzzi “di Pola.

Le notizie le ho tratte da numero di febbraio de “L’Arena di Pola “

Ecco quanto scrive: Tra le vittime c’è il nonno Rodolfo- Matilde non ne dice il cognome- e tra le 185 vittime ci sono persone coraggiose che si sono prodigate per salvare gli intrappolati nel sottosuolo, sono persone forti e coraggiose, come ad esempio, il sorvegliante Giuseppe Nacinovich, il minatore Matteo Viscovich e il perito minerario Fabio Borontini Ma più di tutto spicca il nome di Arrigo Gassi, un giovane meccanico triestino, sposato a Sanvincenti. Si racconta che sia sceso più volte in miniera per salvare i feriti. All’appello mancava il suo amico del cuore Angelo Bassanese: è ridisceso in miniera e ha perso la vita per lui. Ha lasciato la moglie ed una bambina di un anno. È stato decorato dal Governo italiano…un tempo lontano anche la Scuola Mineraria di Albona portava il suo nome…”

Continuiamo con le parole di Anna Millo che confermano quanto ha scritto la piccola Matilde Banko.

 Sarebbe interessante poter appurare se si trattava di agricoltori, proprietari di piccolissimi appezzamenti, per i quali il salario in miniera rappresentava il vantaggio della continuità, a fronte delle incertezze dei lavori stagionali nell’agricoltura. I caduti possedevano in maggioranza le qualifiche professionali più modeste. Se il numero di matricola riflette il progressivo ordine di assunzione, tra loro si trovano tanto quelli più vecchi ed esperti, quanto gli assunti più giovani (il più alto numero di matricola a comparire è il 9008). I più giovani erano nati nel 1921, avevano 19 anni, quindi dovremmo ritenere che fosse stato rispettato l’obbligo di legge che vietava le assunzioni in miniera prima dei 18 anni.

Le fonti di cui disponiamo, importanti per ricostruire il contesto generale in cui avvenne l’incidente, poco in realtà ci dicono della sostanza vera, del contenuto di umana sofferenza di quella catastrofe.

“Le mogli e i figli dei minatori piangevano ed emettevano grida che si udivano a distanza di oltre un chilometro”: è uno dei pochi ricordi diretti che ci siano rimasti (lo si può trovare nel citato opuscolo del Circolo Istria). Non sappiamo come l’incidente si sia manifestato all’esterno. Un boato? un’esplosione? Una nube fu vista uscire dal pozzo? Possiamo solo immaginare l’angoscia di chi attendeva notizie e la disperazione di chi era raggiunto dalla certezza di aver perduto un congiunto. Possiamo solo immaginare l’estrazione dei poveri corpi, avvolti in coperte militari o in lenzuola, deposti l’uno accanto all’altro in una qualche sala del paese trasformata in camera ardente. Le operazioni di raccolta delle vittime richiesero più giorni per la difficoltà del reperimento e si protrassero fino al 12 marzo. Nel frattempo, si erano celebrati i funerali che, per l’alto numero delle vittime, si erano svolti in più riprese, prolungando lo strazio e il lutto della collettività coinvolta, concentrata per lo più nell’Albonese, ma estesa anche ad altre località dell’Istria e perfino d’Italia.

 

Quando avviene la tragedia, l’Ing. Batini si trova a Pinerolo, ha subito assunto un altro incarico in quell’area. Viene informato su quanto è accaduto all’ARSA, e da questo momento inizia un fitto epistolario con i suoi ex collaboratori ed amici. Gli operai richiedono il suo reintegro ed il ritorno in ARSA, hanno fiducia solo in lui. I colleghi ed amici esprimono lo stesso parere e cercano di influire sulle autorità in tal senso.

Sempre a Pinerolo l’Ing. Batini fornisce ad un magistrato inquirente una sua interpretazione dei fatti e delle possibili cause, basandosi sulla passata, ampia esperienza.

Alcuni mesi dopo, così l’Ing. Tagliolato descrive, rivolgendosi al vecchio Direttore, la situazione:

Egregio Direttore…la tempesta è passata sulla nostra miniera e ci ha lasciati tutti sbigottiti…Il turno che lavorava all’approfondimento del Pozzo Littorio fino al XVI. (mancano ancora 20 metri circa) si è salvato con notevole sangue freddo uscendo per il pozzo dalla galleria di scolo di Portalbona, dopo aver perduto due uomini intossicati…il riflusso operato dai ventilatori di pozzo Paolo è stato efficacissimo evitando che il disastro si trasformasse in una strage…In questi tre anni di vita mineraria ho capito che la miniera è un organismo delicatissimo che può essere diretto soltanto con intelletto d’amore e che perciò tutti gli arrembaggi, le smangiussate e le false economie vengono matematicamente pagate a tempo debito. Purtroppo, la moneta è sostituita dalla vita dei nostri innocenti e laboriosi minatori.

 

Ma i responsabili della miniera dell’ARSA, che avevano deciso la rimozione dell’Ing. Batini, non possono riconoscere la loro errata valutazione nella scelta del nuovo direttore, nessuno viene condannato. Una perizia parla di esplosione per cause non accertabili, loda l’abnegazione degli operai e la pronta assistenza prestata.

La miniera riprende la produzione, con prescrizioni sulla sicurezza incrementate di molto, il rendimento si abbassa drasticamente.

 

L’amministrazione della miniera, durante il periodo della guerra, si rivolge ad un nuovo direttore, l’Ing. Alberto Picchiani, le cui tragiche vicende sono documentate dalle testimonianze raccolte dall’ANVGD di Udine, come riportato di seguito.

L’Ing. Alberto Picchiani era un dirigente tecnico dell’azienda marmifera Henraux a Seravezza, in provincia di Lucca. Fu chiamato nel 1938 a dirigere l’ARSA, e la sua posizione, oltre che tecnica, assunse una valenza militare. La miniera si trovava al massimo del suo sforzo produttivo, rispondendo alle esigenze belliche.

Nella seconda metà del settembre 1943 l’ingegnere fu arrestato, assieme ad alcuni impiegati, dai titini, che lo prelevarono, come era consuetudine, di notte. Fu torturato ed infine ucciso. Il 5 ottobre il suo corpo doveva essere eliminato, ma l’arrivo in loco dei tedeschi determinò la fuga dei titini,

Altre testimonianze dicono che fu infoibato a Vines e il suo corpo, esumato, fu riconosciuto dal padre e dalla moglie.

Alberto Picchiani da Arsia, preso dai titini muore gridando: Viva l’Italia.

La famiglia Picchiani nello stesso mese di ottobre fuggì da ARSIA e si rifugiò a Forte dei Marmi, località di origine della famiglia.

Il figlio Roberto, nato ad Arsia, ha ricevuto dal Presidente Ciampi la medaglia d’oro al merito civile per l’eroismo dimostrato dal padre ed il suo diniego di aderire alle richieste dei titini.

Ma ad Arsia avviene ancora una tragedia.

Nel 1948, 92 prigionieri tedeschi, condannati ai lavori forzati nella miniera dalla giustizia titina, con turni massacranti, perirono in seguito ad un’esplosione.

Su questo argomento la scrittrice Cristina Scala, nel suo libro “Cuore di Bambina Fiume 1947”, riporta la testimonianza di un soldato tedesco Josef B, resa successivamente in Germania, che fornisce notizie su questo eccidio.

Il soldato Josef e molti suoi commilitoni, fatti prigionieri dai titini nel maggio 1945, vengono salvati da piccoli atti gentili fatti da Lucia, bambina italiana di Fiume e da altre bambine. Gesti di “pietas “un saluto: Buongiorno…come va? O un pacchettino fatto cadere, con naturalezza, con dentro un frutto o un pezzetto di pane e marmellata.

di Anna Maria Crasti (Vicepresidente del Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) 

 

URBANISTICA E MINIERE DI ARSIA

Arsia ha una lunga storia. La signora Crasti è partita dall’Ottocento, ma in quel momento ARSIA viveva su un territorio particolare, era su un acquitrino, un lago ed un torrente. Nel 1937 fu dato l’incarico all’architetto Gustavo Pulitzer Finali di redigere un piano regolatore di tutto il territorio. Vediamo chi è questo architetto. È triestino, si è laureato a Monaco di Baviera e ha approfondito tutta l’architettura razionalista che andava di moda in quel periodo. Rientrato a Trieste, ha sviluppato questi suoi concetti ed è stato arredatore di tutte le navi dei Cosulich, navi che viaggiavano per il mondo ed il concetto razionalista, cioè delle linee pulite, semplici, con l’utilizzo di materiali naturali conquistò premi, medaglie e gloria all’Italia. Nel momento in cui gli fu assegnato il compito del piano regolatore del territorio di Arsia, lui, oltre al concetto razionalista, introdusse quello che io definisco concetto sociale, in quanto la città, o meglio il razionalismo della città era in funzione dei cittadini che dovevano viverla. Quindi lui prese dalla cultura, dalla tradizione antica, dei concetti molto semplici: lui partì dal decumano, quindi una strada principale, alla quale si affacciavano, non delle baracche per minatori, ma delle casette quadri-familiari con tanto di orto e di giardino, in quanto l’operaio doveva avere una sua vita sociale, ed in fondo al decumano l’ospedale, il campo sportivo, la piscina, tutte cose molto all’avanguardia per l’epoca di quella volta, e ancora d’oggi, quando vengono fatti i piani regolatori.

Quindi Arsia fu costruita in questo modo, per dare modo all’operaio di essere vicino al luogo di lavoro, avendo a disposizione tutte le infrastrutture che gli permettessero di condurre una vita sociale normale. In tutto questo il lago di Carpano fu prosciugato ed il torrente a fianco fu per buona parte intubato. Quindi da una zona malsana nacque una nuova zona.

Questo è quello che fece l’architetto Pulitzer, dando un’impronta sociale a tutto il suo progetto, progetto che poi replicò nel bacino del Sulcis, a Carbonia, in Sardegna.

Dobbiamo tener presente che qualche volta si considera questo tipo di architettura “razionalistica”, architettura fascista: non c’entra assolutamente nulla, è un’architettura funzionale, semplice, lineare, con l’uso dei materiali del luogo, nel caso di Arsia la pietra d’Istria, ma tutto rivolto al cittadino.

In quell’epoca ci fu anche la bonifica delle pianure pontine e ancora oggi possiamo vedere paesini e città, Latina, Borgopiave, Borgosabotino che hanno esattamente quel tipo di impronta funzionale e cosa meravigliosa, almeno per me, per l’epoca, Arsia era dotata di un ospedale. Quindi queste sono cose molto importanti nell’attività di Pulitzer.

Pulitzer, purtroppo, lasciò l’Italia nel ’44 per le famose leggi razziali e tornò in Italia nel ’48. con la nuova organizzazione italiana. Questo è molto importante, perché la stessa Jugoslavia, e la Croazia successivamente, mentre da un lato negavano, nascondevano, rifiutavano Arsia in quanto opera del Fascismo, ma poi hanno incominciato a rivalutarla, in quanto oggi 2021 Arsia rappresenta uno dei pochi paesi architettonicamente progettati in tutte le sue funzionalità e nel 2008 la visita del sindaco di Arsia Pino Knapiċ con il presidente del consiglio comunale Marcelo Tenciċ a Vicenza per dare un premio un riconoscimento a Natasha figlia di Gustavo Pulitzer ed alla figlia di Segre. Lo stesso premio, lo stesso riconoscimento, desiderio di contatto e di promuovere Arsia è stato dato anche nel 2015 dal nuovo sindaco, Glorija Paliska, proprio in questo processo di rivalutazione della tradizione e della cultura.

Adesso racconto un fatto mio personale. Erano gli anni ’67 e ’68, ero un giovane studente di ingegneria, dovevo iscrivermi al triennio e per un attimo ho considerato di diventare ingegnere minerario. Con la famiglia andavamo in vacanza tutti gli anni a Fiume e con una signora ingegnere ad Arsia sono andato in miniera. Ho visto quello che non volevo vedere. Ho visto, sono sceso fino al punto più profondo – credo siano 600-700 metri, ho attraversato gallerie alte meno di un metro, dove gli operai, in buona parte bosniaci, lavoravano sdraiati su un fianco e con piccole picozze scavavano il carbone dalle pareti. Mentre ero lì, una parete è crollata travolgendo degli operai. Io era leggermente spostato, quindi non sono stato coperto dal carbone. Per passare da una galleria all’altra c’era una pertica, tipo palo dei pompieri, ci si aggrappava a questa pertica e si scendeva nella galleria sottostante. Questa era la vita dei minatori in quell’anno. Cosa terribile! Quando sono uscito dalla miniera, dopo un giorno, mi hanno portato al bar per rifocillarmi e mi hanno dato uno spritz locale, e, secondo la lingua locale, lo dico per battuta, veniva chiamato “Mussolini”. Ho bevuto una birra, mezzo litro, una birra intera ed ho fumato 20 sigarette della “Niška Morava”, sono sigarette molto simili alle nazionali semplici senza filtro. Sono riuscito a fumarne 20 e ho sputato carbone per una settimana per essere stato lì un giorno.

Così ho cancellato la mia avventura mineraria. Però la vita mi ha portato a frequentare Carbonia e la vecchia miniera di San Giovanni in Carbonia, che ha l’ingresso esattamente uguale a quello di Arsia.

Lì ero in contatto con i tecnici e un giorno ho voluto parlare con il direttore. Mi hanno detto che il direttore era una persona irraggiungibile in quanto direttore e bisognava prendere un appuntamento. Ho chiesto il nome del direttore, si chiamava Ing. Slavich. Dissi allora ai tecnici di riferire all’Ing. Slavich che l’Ing. Rodizza voleva parlare con lui. Dopo 30 secondi, ci siamo incontrati. Era un vecchio ingegnere di Arsia. Ecco quello che ci è rimasto di quella architettura, che non è razionalista, quanto funzionalista e rivolta all’uomo che deve lavorare in quei luoghi.

di Franco Rodizza (esule da Fiume)