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GdA A Fiume

Fiume, 100 anni fa l’impresa che poteva cambiare l’Italia

di Alessandro Gnocchi – 12/09/2019 – Il Giornale

Raccontare Fiume cento anni dopo l’impresa di Gabriele d’Annunzio è un viaggio nella storia che conduce al presente. Partenza da Milano, autostrada per Trieste. Il casello di Desenzano è l’uscita giusta per raggiungere il Vittoriale, la casa opera d’arte dove il poeta si ritirò alla conclusione dell’avventura fiumana.

Poi si passa per Palmanova, la città dove Guido Keller, segretario d’azione del Comandante d’Annunzio, si impadronì dei camion necessari per trasportare i legionari a Fiume. Poco dopo si intravede il sacrario di Redipuglia, l’omaggio ai caduti della Prima guerra mondiale. Il grosso dei dannunziani, incluso il poeta, erano reduci del conflitto e non ne accettavano l’esito: una «vittoria mutilata» dagli Alleati, amici in battaglia e nemici al tavolo della pace. Fiume e la Dalmazia dovevano essere italiane, anche per questo si era combattuto. Pochi chilometri, ed ecco Monfalcone, il campo d’atterraggio dove si incontrarono i due principali protagonisti dell’Impresa. Li abbiamo già citati: Gabriele d’Annunzio, il Comandante, e il barone Guido Keller, asso dell’aviazione, libero pensatore e rivoluzionario. Vicinissimo c’è Ronchi dei Legionari. Lì, nella notte tra l’11 e il 12 settembre 1919, un febbricitante d’Annunzio, a bordo di una T4, dà il via all’Impresa. Il 12 settembre, il Comandante entra in Fiume. E noi con lui. Prima però, vicino al confine, c’è un ultimo, tragico luogo che fa parte a pieno titolo di questo itinerario fra terre martoriate e contese: la foiba di Basovizza, a pochi chilometri da Capodistria.

La prima impressione, dopo i boschi della Slovenia e qualche minuto di autostrada croata, è l’azzurro del Golfo del Carnaro, il verde delle isole: sembra tutto di cristallo, e il viaggiatore finalmente capisce perché nella letteratura fiumana c’è una parata di pietre preziose. Sono i colori del Carnaro. Abbazia è baciata dal Sole. Il viale d’ingresso di Fiume richiama vagamente Trieste, in brutto. A destra, verso il mare, ci sono silos giganteschi per conservare le merci scaricate dalle navi. A sinistra, verso la collina, belle case antiche si alternano a brutti condomini alti fino a dieci piani. Siamo in Croazia. Molti, quasi tutti, parlano un po’ di italiano, alcuni benissimo. D’altronde, una delle vie principali si chiama Alessandro Manzoni, proprio come a Milano e in tutte le città italiane. Il centro non è un susseguirsi di tuffi al cuore per chi è venuto a ricordare Gabriele d’Annunzio. Gli Alleati nel 1945 hanno bombardato la città vecchia, distruggendola. Sul Korzo, la bella via pedonale che attraversa il centro, piena di negozi e caffé con i tavolini all’aperto, si vede l’asburgica Torre civica (detta «dell’orologio») sulla quale svetta ancora l’aquila imperiale. I legionari avevano decapitato una delle due teste, come segno di dominio: l’aquila simboleggiava ancora l’impero ma quello romano. Nel 2017 una copia dell’originale a due teste è tornata al suo nido. La testa mozzata dai legionari è in esposizione a Trieste.

A Fiume, Gabriele d’Annunzio non è un eroe. Del resto, in città, non ci sono segni evidenti del centenario. Il punto di vista croato è all’incirca il seguente: Fiume godeva di uno statuto speciale sotto l’impero austro-ungarico e d’Annunzio, per una parte dei cittadini, non solo croati, era un invasore che metteva a repentaglio le libertà e l’autonomia già acquisite. Senza d’Annunzio, forse oggi Fiume sarebbe la Monaco dell’Adriatico. La stessa Carta del Carnaro, una delle costituzioni più avanzate dell’epoca, recepiva e perpetuava proprio le libertà fiumane. Ad esempio, il divorzio e il suffragio universale.

Dal nostro punto di vista, le cose sono diverse. Qui si dà una lettura ancora fortemente etnico-nazionale, tra l’altro distorta da decenni di propaganda prima fascista e poi comunista, sulla Impresa come premessa della Marcia su Roma di Benito Mussolini. Al di là dell’irredentismo, per noi italiani, Fiume oggi è soprattutto un sorprendente esperimento politico e sociale. Il fiumanesimo chiedeva di rivedere tutto: politica, società, economia, cultura. Il nazionalismo dei rivoluzionari più accesi era diverso da quello che prenderà piede successivamente. Yoga, voce di Guido Keller e Giovanni Comisso, avrebbe voluto conservare gli antichi Stati preunitari all’interno di una Confederazione (modello: i cantoni della Svizzera) di cui anche Fiume avrebbe fatto parte. Il nazionalismo degli Stati «del Nord» era considerato un prodotto importato da una borghesia incapace di comprendere quanto soffocasse la ricchezza dell’Italia, che risiede nella sua varietà. Fiume, per questi ragazzi, era anche un atto anti-europeo. Credevano che gli Stati «del Nord» avrebbero presto o tardi conquistato l’Italia con l’economia. Sapete quale arma di difesa indicavano? Il controllo della moneta nazionale, condizione necessaria per salvare l’indipendenza.

Torniamo nella dolce Fiume. Tea Perincic, curatrice con Ana-Marija Milcic, della mostra «L’Olocausta di d’Annunzio», ci attende all’ingresso del Palazzo del Governatore. Alle 19 di oggi ci sarà l’inaugurazione dell’esposizione che fa parte del progetto Fiume capitale europea della Cultura 2020. Lascio la parola a Perincic: «Il percorso espositivo si basa sulla prospettiva delle donne che vivevano a Fiume all’epoca di d’Annunzio. È sorprendente il numero di donne, circa 300, che lo hanno seguito in questa città. Amanti incluse». Ecco dunque la pianista Luisa Baccara, che appoggiava le idee irredentiste di d’Annunzio; l’insegnante Nicolina Fabris, che istruiva i legionari; Zora Blaic, l’allora ventenne fiumana di nazionalità croata, il cui diario è una testimonianza della vita a Fiume di coloro che non erano italiani; e Fiammetta, pseudonimo di Margherita Keller, cugina di Guido, futurista e appassionata sostenitrice della libertà delle donne di essere quello che vogliono. In quanto alla politica, nei quadri e nelle riviste satiriche di parte croata, ad esempio Kopriue, Fiume è rappresentata come una donna vittima di una politica sbagliata. In quelli di parte italiana, c’è una vignetta de La vedetta italiana con la scritta: «Fiume Stato cuscinetto». Una donna, Fiume, è sdraiata per terra. Seduti sopra di lei, i leader che hanno trattato la pace nel 1919 a Parigi: Woodrow Wilson, presidente degli Usa; David Lloyd George, primo ministro inglese, il francese George Clemenceau. Sullo sfondo, Vittorio Emanuele Orlando trascina un cannoncino giocattolo: segno dell’impotenza italiana. Tra la sabbia, spunta una spada. Sulla lama si legge «Vittorio Veneto». La battaglia decisiva, la vittoria dell’Italia, la fine dell’Impero austro-ungarico.

La mostra è piccola, poco pubblicizzata, realizzata con un budget di 2000 euro con oggetti già presenti nel Museo marittimo e storico del litorale croato di Rijeka. Incredibile a dirsi ma mancano le didascalie in italiano per mancanza di spazio. Ma lo spazio abbonda. A parte questo difetto (grave), la mostra è unica ed emozionante. Si cammina infatti nelle stanze del Comando dannunziano. All’ingresso, a sinistra, c’è la finestra centrata da una cannonata della nave Andrea Doria. È a un metro dalla scrivania del poeta, miracolosamente illeso. Al piano superiore ci sono le stanze private di d’Annunzio, che ci viveva, «però il Palazzo non gli piaceva» (Perincic). In realtà è bello e luminoso, il loggiato interno si affaccia su una anticamera gigantesca (che d’Annunzio riempì di acqua, avendo dimenticato di chiudere i rubinetti dopo un focoso incontro d’amore, forse bruscamente interrotto). Il palazzo ospitava tutti gli uffici del Comando. C’erano Giuriati, Keller, Kochnitzkj, Furst. Difficile dire quali fossero le loro stanze ma è stato conservato l’arredamento. All’esterno, c’è il balcone dal quale d’Annunzio arringava la folla. È il primo dei tanti «balconi» politici del Novecento e oltre. A Fiume, il poeta ha inventato la propaganda contemporanea.

A questa esposizione è stato attribuito, al momento della presentazione, un significato antifascista. Francamente non ci sembra che questo tema sia trattato da questa mostra intelligente. Al contrario, sembra un passo avanti verso la reciproca comprensione, e così è stata interpretata dalla stampa italiana dell’Istria e del Quarnero, attentissima alla questione. Comunque il senso del centenario, in Italia, è riassumibile nel tentativo (riuscito) di indicare gli elementi che rendono l’Impresa ben diversa dal fascismo. Questo non ha impedito all’Anpi e a qualche politico locale di opporsi alle manifestazioni in programma a Trieste e Ronchi. Invece di protestare, avrebbero dovuto partecipare ai convegni del Vittoriale e di Pescara. Forse avrebbero capito che giudicare l’Impresa alla luce degli avvenimenti successivi è insensato. Anche il sindaco di Fiume, Vojko Obersnel, ha tirato il freno a mano sulla statua di d’Annunzio a Trieste, monumento che non intende offendere in alcun modo Fiume. Oggi sarà inaugurata da Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale, che successivamente raggiungerà Fiume per l’inaugurazione della mostra. Segno di un’amicizia che va approfondita.