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Le tragiche giornate di maggio

Il 1° maggio 1945 Tito vince la “corsa per Trieste”: deportazioni, infoibati e stragi in tutta la Venezia Giulia

 

Bandiere tricolori, canti patriottici, reduci della guerra, partigiani che hanno fatto la Resistenza e ragazzi sfilano per le strade di Trieste il 5 maggio 1945: raffiche di mitra, morti, fucilate, feriti, urla pronunciate in una lingua straniera e la folla che fugge pongono fine a questa rivendicazione di italianità, di libertà e di democrazia. Sembrava una manifestazione come tante altre di quelle che si succedevano in quei giorni in Italia, ma l’esito è tragico e unico nel suo genere perché l’evento ha luogo nel capoluogo della Venezia Giulia, una provincia di frontiera nella quale la Seconda guerra mondiale non è finita il 25 aprile, ma anzi prosegue con una nuova occupazione straniera, una nuova lotta clandestina e nuove vittime.

L’atipicità della situazione triestina emerge già nell’insurrezione del Comitato di Liberazione Nazionale, che qui avviene appena il 30 aprile, poiché la città era ancora saldamente in mano tedesca nell’ambito della Zona di Operazioni Litorale Adriatico, una sorta di governatorato militare germanico che dopo l’8 settembre ’43 si è esteso su Trieste, Gorizia, Udine, Lubiana, Pola e Fiume annichilendo le autorità della nascente Repubblica Sociale Italiana ed avviando oltre un anno e mezzo di accanita lotta antipartigiana in cui alla dialettica fascismo/antifascismo si sovrapponeva un conflitto per la futura appartenenza territoriale di queste terre di confine. Le autorità naziste, rispolverando il mito di Trieste sbocco al mare della Mitteleuropa (già rappresentata dall’Impero austro-ungarico che dette origine alle fortune portuali ed economiche triestine e adesso incarnata dal Reich millenario di Adolf Hitler), hanno raccolto consenso tra nostalgici asburgici, frange di sloveni ed altri collaborazionisti italofobi e nell’antiguerriglia applicano le tattiche più violente e cruente affinate nei combattimenti contro i partigiani sovietici sul fronte orientale ed enunciate nel manualetto “Bandenkampf”. Il Partito comunista sloveno è egemone tra le forze della resistenza e pone inesorabilmente il destino di queste province all’interno della rinascente Jugoslavia, socialista e federale sotto l’egida di Josip Broz “Tito”. La RSI dispone di poche truppe sul campo: ha potuto solamente allestire alcuni reparti della Milizia Difesa Territoriale (le autorità tedesche hanno vietato la costituzione di reparti della Guardia Nazionale Repubblicana) mentre in Istria e nel Carnaro vi sono nuclei della Divisione Decima, avanguardia di un progetto più articolato di difesa della frontiera orientale che non si è concretizzato. Il CLN è diviso al suo interno poiché i comunisti appoggiano le rivendicazioni slave, comunica poco e male con i vertici di Milano e già debole in partenza subisce particolarmente la repressione nazista tramite delazioni, deportazioni e arresti presso il campo di detenzione della Risiera di San Sabba, in cui avvengono spietati interrogatori, opera un forno crematorio e partono i treni per i campi di concentramento.

A fine aprile si svolge, inoltre, la “corsa per Trieste”: da una parte le armate anglo-americane vogliono conquistare Trieste per sfruttare il porto e di suoi collegamenti con l’Europa centrale come base logistica per la fase finale del conflitto e per i rifornimenti alle truppe che occuperanno Austria e Germania meridionale; dall’altra Tito ha dato ordine di trascurare la liberazione di località come Lubiana e Zagabria, la cui appartenenza alla futura Jugoslavia è fuori discussione, per concentrarsi sull’occupazione di Trieste, Gorizia, dell’Istria e di Fiume, in modo da costituire con la presenza militare nel corso delle imminenti trattative di pace una caparra sull’annessione internazionalmente riconosciuta.

Con il supporto dei militi della Legione triestina della Guardia di Finanza e dei Volontari della Libertà infiltrati nel corpo di polizia della Guardia Civica istituita dal Podestà Pagnini, il CLN triestino riesce il 30 aprile a scatenare nel centro di Trieste l’insurrezione antitedesca, mentre nelle periferie operano i partigiani sloveni e comunisti, di modo che alla fine della giornata le truppe tedesche sono asserragliate in alcuni punti fortificati in attesa di arrendersi ad un esercito regolare. Alle prime luci dell’alba dell’indomani giungono a Trieste le avanguardie dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia, anticipando le colonne motorizzate neozelandesi che aprono la strada alle armate alleate e di fatto la città piomba nuovamente nel conflitto.

Le autorità cielleniste vengono esautorate e si ricostituisce un CLN clandestino, si dichiara l’annessione di Trieste alla Jugoslavia (tanto che gli orologi vengono portati sul fuso orario di Belgrado) ed entra in azione l’OZNA, la polizia politica jugoslava, la quale, grazie a liste di proscrizione compilate da comunisti italiani e sloveni locali scatena un’ondata di arresti, processi ed esecuzioni contro i fascisti, considerando però “fascista” chiunque si oppone al progetto annessionistico titoista. In questa maniera non solo persone implicate con il decaduto regime e militari che si sono arresi, ma anche partigiani di ispirazione patriottica, intellettuali ed imprenditori spariscono nel nulla. Chi infoibato, chi deportato verso i campi di concentramento allestiti in Jugoslavia, morendo di stenti durante le marce forzate di avvicinamento ovvero a causa delle terrificanti condizioni detentive. Pure Gorizia, Fiume e Pola vivono quest’incubo, che per l’entroterra istriano rappresenta la replica della prima tragica ondata di uccisioni nelle foibe avvenuta all’indomani dell’8 settembre. La presenza delle truppe angloamericane in città è ininfluente, come dimostrano i morti ed i feriti della manifestazione patriottica del 5 maggio (una lapide oggi li ricorda sul luogo dell’eccidio, all’incrocio tra il centralissimo corso Italia e via Imbriani), poiché non si vuole giungere allo scontro con gli alleati jugoslavi o perché, ragionano cinicamente i vertici britannici soprattutto, queste stragi in futuro potranno tornare utili nell’ambito di una propaganda anticomunista.

Alla luce di queste violenze e crudeltà, che avranno parzialmente fine il successivo 12 giugno, allorché gli occupanti jugoslavi dovranno lasciare Gorizia, Trieste e Pola all’amministrazione militare angloamericana, è chiaro perché per gli esuli istriani, fiumani e dalmati e per tanti giuliani la data del 25 aprile non rappresenta la fine della Seconda guerra mondiale, ma soltanto l’inizio di un calvario caratterizzato da migliaia di morti e da decine di migliaia di esuli.

Lorenzo Salimbeni

Fonte: Il Giornale d’Italia – 29/04/2018