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December 12th, 2024
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Caffè Shenck Fiume Piazza Adamich 2 2

Dolci prelibatezze fiumane

I figli e i nipoti di esuli e dei rimasti conservano un bagaglio di gioielli: sono le ricette tramandate dalle nonne e dalle bisnonne che li accomunano e li uniscono, riuscendo a trasmettere ai posteri anche parte della storia della città. 

 

Un bagaglio culturale

 

L’Austria di Francesco Giuseppe era un crogiolo di razze, usi e costumi e la sua cucina era il risultato di tali fusioni. La città di Fiume, grazie soprattutto alla sua collocazione geografica, era da sempre aperta a tante culture diverse, accoglieva gli stranieri che vi s’insediavano da ogni parte dell’Impero, e dai nuovi arrivati carpiva usi e costumi, con particolare riguardo ai cibi, per cui a tutt’oggi vanta un’immensa varietà di pietanze.

Ricette povere e ricche, semplici ed elaborate, finivano sulla tavola imbandita a dovere, coperta, nei giorni di festa, da tovaglie di lino impeccabilmente bianche e inamidate.

In occasione dei battesimi, delle cresime, delle feste di nozze, le famiglie meno abbienti erano solite svuotare la camera più grande della loro abitazione per poter sistemare tavolate capaci di accogliere una miriade di familiari e ospiti. Una volta spostati temporaneamente i letti, i divani, le madie e le credenze, quelle stanze si trasformavano in sale da pranzo. E le sedie venivano prese in prestito dai vicini di casa.

 

I dolci venivano preparati con sette giorni di anticipo. Torte dobos, strudel, rigojanči, buchtel… un elenco immenso di delizie difficile da gestire, ma facilissimo da gustare.

 

Dobos, la preferita di Sissi

 

Composta da sei strati di pan di Spagna, su cui è spalmata una crema di cioccolato e burro, la torta Dobos è ricoperta da uno strato sottile di caramello che aiuta a prevenire l’essiccamento.

Il suo bordo è ricoperto di nocciole macinate, castagne, noci o mandorle.

È leggendaria la preferenza che la principessa Elisabetta, più nota come Sissi, aveva per la Dobos. Pare che Sissi fosse talmente ghiotta del dolce ungherese che spesso lasciava in gran segreto il Palazzo reale di Buda per raggiungere il Caffè Ruszwurm, la più antica pasticceria ungherese.

La torta Dobos fu presentata per la prima volta durante l’Esposizione nazionale generale di Budapest del 1885. I primi a provare la nuova dolce delizia furono Francesco Giuseppe e la consorte Elisabetta. La torta assunse presto fama in tutta Europa, grazie anche alla promozione fatta dallo stesso József Carl Dobos che viaggiò a lungo organizzando presentazioni. La ricetta rimase segreta fino all’anno 1924 quando Dobos si ritirò e la regalò alla Camera dei pasticcieri di Budapest dove è tutt’oggi custodita.

 

Le innumerevoli lievitazioni dei buhtel

 

I buhtel sono una via di mezzo tra un panino dolce e un krapfen: sono cuscinetti di pasta ripieni di marmellata di albicocche o di prugne; secondo quanto riportato da Francesco Gottardi nel suo libro “Come mangiavamo”, sono detti anche buchteln. Ogni rispettabile ricettario scritto a mano dalle “vecie none de Fiume” contiene la ricetta di questa prelibatezza che si distingue per l’articolata preparazione distinta in più lievitazioni.

 

Pur essendo originari della Boemia, no i buhtel hanno un posto di primo piano nella cucina austriaca, nella cucina ungherese (in lingua ungherese bukta) e anche in quella ladina. A Trieste i buchtel tradizionali sono riempiti con powidl (confettura di frutta preparata senza aggiungere zucchero) di prugne o coperti di salsa alla vaniglia. I più famosi buchtel austriaci vengono serviti nel Café Hawelka a Vienna, dove sono presentati come specialità della casa e vengono preparati secondo una ricetta di famiglia antichissima e segreta.

 

Rigojanči, sulle note di un violino

 

La particolare storia che sta dietro al rigojanči è datata 1896, quando Clara Ward, moglie del principe belga Chimay, si innamora di Jancsi Rigó, il quale suonava il violino in un locale di Parigi. A sorpresa Clara Ward lascia suo marito per Jancsi Rigó destando molto scandalo.

Si racconta che il violinista stesso “ispirato” dall’amore, creò questo dolce in collaborazione con un amico pasticcere.

Il rigojanči nasce proprio per coronare questa storia d’amore la quale, comunque, non ebbe un lieto fine in quanto i due si separarono e Rigó morì a New York nel 1927 nella totale miseria.

Ma che c’entra Fiume? C’entra per il fatto che questo dolce, molto ricercato, veniva preparato per anni nella pasticceria dell’albergo Continental del capoluogo quarnerino progettata nel 1963, oggi trasformata in pub.

 

Strudel, il dolce bizantino

 

Lo strudel di mele ha origini molto antiche che vanno ricercate nel Medio Oriente, più precisamente nell’antica Bisanzio, oggi Istanbul. In seguito alle varie conquiste del popolo turco, la ricetta del manicaretto raggiunse dapprima la Penisola balcanica nell’anno 1547 e, in un secondo momento, arrivò fino in Ungheria dove venne battezzato con il nome conosciuto tutt’oggi. Lo strudel divenne famosissimo in tutto l’impero asburgico e, in seguito al Congresso di Vienna del 1815, la sua tipica ricetta entrò a far parte della tradizione gastronomica delle Tre Venezie e ovviamente, di Fiume, dove le cuoche provette, nel mese di giugno, attorno a di San Vito, solevano sostituire alle mele le ciliegie o le aspre visciole.

 

Lo strudel di ciliegie 

 

Secondo quanto riportato nelle pagine del nostro quotidiano anni addietro dal nostro collaboratore Alfredo Fucci, per ottenere lo strudel perfetto, bisogna “usare 50 grammi di farina, un cucchiaio di olio, un cucchiaino di aceto, un po’ di sale da sciogliere in acqua tiepida e impastare. Coprire per un quarto d’ora prima di stendere la sfoglia”. “E co mia mama finiva de impastar e la arivava al punto de dover stender la pasta, mi – così ancora Fucci – ghe dovevo dar de man, atento a non far busi coi diti, zucando pian pianin fin che non la rivava coprir tuto el tavolo, come con un lenziol. E po’ arivava el momento de meterghe dentro i pomi gratadi, le zisibe, le noze, la cannella. E tuto finiva in forno per vegnir ogni tanto pinelado col bianco de ovo prima de arivar in tavola”.

 

Tiziana Dabović – 11/09/2021
Fonte: La Voce del Popolo