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April 25th, 2024
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FederEsuli Unione Italiana

La ricomposizione della comunità italiana giuliana e dalmata

Riceviamo e volentieri pubblichiamo quest’ampia lettera aperta redatta dal Dott. Claudio Deghenghi, esule, saggista e ricercatore.

Illustrissimi Signori Presidenti delle nostre massime organizzazioni sociali nazionali, Prof. Avv. Giuseppe De Vergottini, presidente della Federazione delle Associazioni degli esuli giuliani e dalmati d’Italia, e Sig. Maurizio Tremul, presidente della Unione Italiana, massimo organo politico e organizzativo della Comunità Nazionale Italiana degli esuli giuliani e dalmati autoctoni di Croazia e Slovenia – io Vi ringrazio di cuore, a nome degli esuli italiani giuliani e dalmati tutti, per aver stipulato un “Accordo di programma per la creazione di una rete culturale con l’Unione Italiana”. “Accordo che abbiamo ufficialmente stipulato – dice il professore – al termine di una proficua riunione diretta dall’Ambasciatore d’Italia a Zagabria, S. E. Pierfrancesco Sacco, che perfeziona un percorso comune che abbiamo intrapreso con l’Unione Italiana negli ultimi mesi e che intendiamo incrementare. Anche per dimostrare che l’italianità adriatica, parimenti rappresentata da esuli e autoctoni, e unita, propositiva e autorevole” (“La Voce Del Popolo” di Fiume del 14 agosto 2021).
Queste dichiarazioni del Signor Prof. Avv. De Vergottini annunciano chiaramente la nascita della nostra nuova utopia. E a Lui si unisce, sulla stessa lunghezza d’onda, la nostra professoressa Nelida Milani, che nella sua “recensione” pubblicata  su “La Voce del Popolo” di Fiume dello stesso giorno, il 14 agosto 2021, scrive testualmente: “Nel linguaggio comune utopia ha una connotazione negativa, le utopie sono considerate mondi di fantasia, senza i piedi per terra e perciò privi di rilevanza pratica. Eppure anche le utopie hanno da fare i conti con il tempo galantuomo che alla lunga sa sanare le ferite inferte dalla storia. E i conti sembrano tornare, cominciano a tornare. Molti sono stati i tentativi di riconciliazione finiti in maniera non esaltante. Ma gli uomini intelligenti e di buona volontà ci tornano. C’è stato pure il ricambio generazionale, i giovani hanno buttato alle ortiche gli orpelli ideologici. Basta con odi, rancori, risentimenti, piuttosto cercar di costruire un rapporto sempre più stretto di amicizia e collaborazione fra di noi, esuli e rimasti, nel reciproco riconoscimento, e ravvivare la voglia di camminare insieme a sloveni e croati nella comune casa europea e nei comuni ideali europei. No, non è un fervore politico, il cielo me ne guardi. Il percorso da compiere è ancora lungo, ma la strada è già tracciata, facilitata anche dall’ultimo recente Accordo UI-FEDERESULI. Sia la volta buona.”
Così la nostra nuova utopia non solo è fondata, ma è anche già riempita con i contenuti giusti, quelli veri, quelli naturali, quelli storici, quelli ormai irrinunciabili.
Questa lettera aperta, dunque, chiama a raccolta esuli e autoctoni, ne saluta la presenza, e dichiara di voler trattare con essi i problemi ancora aperti, da superare senz’altro. Eccoli, in sintesi, nei titoli seguenti:
  • Degli esuli italiani giuliani e dalmati quali persone fisiche;
  • Degli esuli italiani giuliani e dalmati quali persone giuridiche.
Quindi, sull’esempio unicamente dell’olocausto dantesco, propongo un concetto nuovo, l’olocausto degli esuli italiani giuliani e dalmati degli ultimi cent’anni (1920-2020). Tranquilli, la cosa sarà subito spiegata.
I figli, i nipoti e i primi pronipoti dei nostri esuli hanno scoperto finalmente che l’esodo della Comunità italiana giuliana e dalmata non ebbe inizio dopo la Seconda guerra mondiale, bensì già dopo la Prima guerra mondiale, con l’esodo coatto dei dalmati italiani dalla Dalmazia (tranne gli zaratini, allorché Zara rimase una enclave dello Stato italiano), esodo voluto dal nuovo Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni appena fondato, quando i due nazionalismi, italiano e slavo, a differenza dai tempi di Mazzini, allora si scontrarono brutalmente proprio a nostro danno sulla questione della sovranità territoriale nell’Adriatico Orientale. Sicché la nostra Comunità ha iniziato a soffrire tutte le ingiustizie di questo mondo, per questo motivo, esattamente da cent’anni a questa parte (1920-2020). Ed è ora di piantarla qui.  Per perdonare e superare tanto dolore personale e collettivo, e tanto rancore, solo l’olocausto dantesco può fare questo miracolo. Il Sommo Poeta, infatti, nel Canto XIV del Paradiso, preparandosi ad incontrare Dio pulito spiritualmente e materialmente, racconta:
“Con tutto ‘l core e con quella favela
ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella.”
Anche noi coltiviamo ancora un’antica e reciproca “favela” impura, da dover ora bruciare col nostro olocausto, per presentarci quindi al mondo intero con una “novella” piena di grazia … Ne saremo all’altezza? Vediamo.
  1. DEGLI ESULI ITALIANI GIULIANI E DALMATI QUALI PERSONE FISICHE
Quando è arrivato il nostro turno di pagare i danni della guerra italiana in terra jugoslava del Secondo conflitto mondiale con il nostro patrimonio, con le nostre cose più care, senza risarcimento alcuno, del resto anche impossibile immaterialmente, noi ci siamo divisi tra chi partiva esule in Italia e nel mondo, e chi rimaneva esule in terra natale, passata ad un altro Stato, sempre tutti solitari, quali persone fisiche, sebbene in gruppi di persone, solitari e sradicati da ogni assembramento civile reale. Così ci siamo dati un nome qualsiasi – “esuli e rimasti” – invece che “esuli e autoctoni”, senza considerare la vera nuova natura di ognuno di noi. Nomi nuovi, che hanno reso impossibile qualsiasi confronto concreto fra di noi medesimi, poiché le parole “esule” e “rimasto” non hanno proprio niente in comune, da sempre, tranne la sola partenza e no, e nient’altro.
Ora noi siamo liberi di classificarci in tutt’altro modo, se vogliamo e dobbiamo farlo, per cui io propongo la seguente distinzione fra di noi, che rende possibili tutti i confronti reali, in modo da poterci poi rispettare reciprocamente, di poterci stimare, di poterci amare incondizionatamente. Così, puliti dentro, riusciremo forse a ricomporre idealmente anche la nostra Comunità italiana giuliana e dalmata di un tempo, che purtroppo abbiamo smarrita, ma che forse saremo capaci di ritrovare, tutti insieme, almeno idealmente, se ci teniamo tanto.
Già, correndo l’anno 2022, per me i nostri confratelli potrebbero essere divisi come segue:
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati d’Italia, cioè quelli che si sono stabiliti in Italia (Giuliani e Dalmati d’Italia);
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati che si sono stabiliti nei paesi europei (Giuliani e Dalmati d’Europa);
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati che si sono stabiliti in uno dei paesi delle tre Americhe (Giuliani e Dalmati d’America);
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati che sono andati a finire in Australia (Giuliani e Dalmati d’Australia), e
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati autoctoni, cioè quelli che sono rimasti negli stati esteri di Jugoslavia, prima, e di Croazia e Slovenia, poi, per lo spostamento dei confini fra l’Italia e la ex Jugoslavia (Giuliani e Dalmati autoctoni).
Ecco, ora possiamo parlare di tutti loro rilevando anche tutte le differenze che ci interessano, differenze che saranno tutte naturali, tutte vere, e le quali dovrebbero rendere impossibile ogni odio, e ogni rancore fra di noi sarà così impossibile e ingiustificato.
Intanto dobbiamo notare che tutti loro sono stati definiti “italiani giuliani e dalmati”, poiché nei paesi citati troviamo esuli che non sono italiani e troviamo esuli italiani che non sono “giuliani e dalmati”, bensì troviamo esuli di tutti i tempi e di tutti i luoghi, Italia compresa, che godono o soffrono lo stesso nostro destino. Infine, i famosi “rimasti” sono finalmente diventati “esuli” anch’essi, poiché sono italiani che vivono all’estero, lo ripetiamo, prima nella ex Jugoslavia e poi in Croazia e Slovenia, pure non essendosi mai mossi di casa.
  1. DEGLI ESULI ITALIANI GIULIANI E DALMATI QUALI PERSONE GIURIDICHE
 Tutti questi esuli italiani giuliani e dalmati, per stare insieme all’estero in qualche modo, o hanno fondato proprie persone giuridiche, cioè associazioni e/o istituzioni varie, oppure si sono aggregati ad associazioni ed istituzioni già esistenti, di altri esuli italiani, esuli di altri spazi e di altri tempi. Osservando con molta attenzione il loro nuovo mondo, e il loro nuovo modo di vivere, possiamo e dobbiamo notare fra loro enormi fondamentali differenze. Ma prima di tutto non lasciamoci sfuggire l’occasione di esaminare la questione della lingua materna o paterna, la quale condiziona tutto di noi, vita, morte e miracoli.
Se consideriamo dunque questa lingua, e il linguaggio in genere, come un sole che irradia tutto il nostro mondo, noi medesimi e tutte le nostre cose, allora noi e quelle cose diventiamo suoi pianetini, che gli girano intorno vita natural durante, ma solo fino alla nostra morte. Vediamo allora che fine hanno fatto i nostri esuli italiani giuliani e dalmati nel mondo, da questo punto di vista:
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati di Italia, col tempo, hanno trovato in Italia tutto l’occorrente per vivere decentemente, cioè si sono dati o hanno avuto una casa o un appartamento, scuole di ogni ordine e grado con insegnamenti in lingua italiana, lavoro in ditte o istituzioni italiane, la lingua italiana diffusa dappertutto, per istrada, nei palazzi, nel circondario, insomma in tutti i paesi e città d’Italia, mass media tutti in italiano, editoria italiana, ma anche quella mondiale in italiano, sanità italiana, cinema musei teatri e accademie italiani, sport all’italiana; insomma essi esuli italiani giuiani e dalmati, da questo punto di vista, hanno potuto constatare e affermare sempre di essere di nuovo a casa, e basta; e sono così gli unici nostri esuli che possono dirlo, contenti, senza ombra di dubbio;
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati d’Europa, della tre Americhe e dell’Australia, di tutto quello che hanno avuto in patria gli esuli italiani giuliani e dalmati d’Italia, essi hanno potuto avere di proprio solo la casa o l’appartamento, l’ambiente famigliare, e la vita collettiva nei propri circoli italiani di cultura, sempre in italiano. In tutti gli altri spazi sociali e in tutti gli altri tempi di vita, personale o comunitaria, essi si sono dovuti integrare nell’ambiente sociale, cioè imparare a usare ed usare la lingua del luogo come fossero nati colà. Cosa molto difficile, specie per gli anziani, e sempre ingrata. Naturalmente, i loro figli, nipoti e pronipoti nati in terra straniera, istruiti ed educati nelle scuole di ogni ordine e grado del popolo autoctono, ma in altra lingua, non possono più in nessun modo provare la stessa nostalgia dei loro genitori per le nostre terre adriatiche, per il nostro mare, per i nostri luoghi natii, per gi usi e costumi della nostra gente, della nostra terra natale, insomma, mentre devono e possono parlare sempre tranquillamente anche la lingua del paese ospitante, senza difficoltà alcuna, cioè due lingue, quella materna e quella del loro luogo natio. Quale “identità” assegneremo a queste nostre creature, che neanche si possono figurare come “esuli” veri e propri (oppure sì?), avendo ognuno un’altra terra natale, un altro destino? Lasciamo che siano essi a dircelo francamente … Noi esuli originari non possiamo e non sappiamo neanche concepire due identità nazionali differenti nella stessa medesima persona … Ma loro, cosa ci possono dire a questo riguardo?
  • Gli esuli italiani giuliani e dalmati autoctoni, cioè di Jugoslavia prima, e di Croazia e Slovenia poi – i cosiddetti “rimasti”- hanno vissuto e vivono lo stesso destino, cioè sostanzialmente nelle stesse condizioni e nello stesso modo degli esuli italiani giuliani e dalmati d’Europa, delle tre Americhe e dell’Australia. E’ stato lo spostamento dei confini italo-balcanici a fare di essi degli “esuli”, costringendoli a vivere nei nuovi stati esteri, come tutti i nostri esuli al mondo. Ma essi, essendo aborigeni, possono e devono testimoniare pure le vicissitudini vissute sotto i regimi autoritari non solo del fascismo ma anche del comunismo. Fu il fascismo dapprima a far chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado degli slavi, obbligandoli tutti a frequentare le scuole italiane, per cui, dopo vent’anni di regime, tutti gli slavi in Istria e a Fiume diventarono perfettamente bilingui. Sotto la ex Jugoslavia accadde la stessa cosa, ma in modo inverso: dapprima il regime comunista volle cacciare all’estero con un esodo di massa tutti gli italiani autoctoni; poi con il disastro di Vergarolla, e mediante il terrore instaurato anche con le ronde notturne, composte da tre membri per ogni paesetto di campagna, per bastonare i lavoratori italiani del secondo turno di lavoro, che la sera tornavano a casa, e li bastonavano di turpe ragione, mentre la verginità del regime comunista esigeva che la vigliaccata fosse fatta da italiani, anche traditori della loro stirpe, ma non assolutamente da slavi, poiché essa doveva sembrare come una baruffa in famiglia tra italiani; e infine, facendo chiudere pure tutte le nostre scuole italiane di ogni ordine e grado nell’Istria interna e lungo la sua costa orientale fino a Fiume. Quindi i comunisti jugoslavi, insomma, introdussero dappertutto le lingue ufficiali slave, il croato e lo sloveno, lasciando una parvenza di bilinguismo integrale solo nelle scuole italiane rimaste nelle cittadine della costa occidentale dell’Istria. Dovendo però trattare il nostro tema, noi siamo costretti a sorvolare su tutte le altre forme di terrorismo messe in atto dagli jugoslavi per spingere gli italiani all’esodo di massa e alla sottomissione integrale dei rimasti. Gli italiani autoctoni dell’Istria e di Fiume, dunque, frequentano ancora e curano ancora l’esistenza delle scuole italiane di ogni ordine e grado, come tutte le rimanenti loro istituzioni. Essi stanno lottando ancora strenuamente per la conservazione dell’italianità nell’Adriatico Orientale, checché ne dicano certe associazioni ed i soliti numerosi triestini, sia autoctoni che esuli istriani, i quali affermano che noi in Istria e a Fiume siamo spacciati ed estinti, senza dare per ciò neanche qualche minimo cenno di tristezza e di profondo dolore patrio … Ma sono i nostri giovani, tutti bilingui, a disertare gli appuntamenti civili della CNI, e noi facciamo fatica a mobilitarli, mentre i nostri tre Presidenti delle Repubbliche contermini ci riescono molto bene, anche a riempire l’Arena di Pola in ogni ordine di posti. E nel nostro caso, allora, è solo disaffezione politica generale e particolare, o cosa altro?
           Questi esuli dell’Adriatico Orientale, autoctoni, hanno però avuto la fortuna, tutta civile, di godere della genialità del compianto Prof. Antonio Borme, che negli anni ‘60 e ’70 del XX secolo seppe non solo stringere rapporti internazionali con la Madre Patria, attraverso la benemerita Università Popolare di Trieste, bensì seppe concepire, proporre e trasformare tutti i nostri Circoli Italiani di Cultura in Comunità locali di italiani, le quali oltre a collegare fra loro tutte le istituzioni italiane locali orizzontalmente, facilitando un loro comune sviluppo, le hanno collegate anche verticalmente in modo nuovo, grandioso, importante e più intenso con l’organismo centrale e con tutti i relativi suoi organi di gestione comunitaria centralizzata, collettiva e democratica, cioè con l’ex Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume. Sicché la Comunità Italiana divenne compatta, e gli italiani stessi cultori di un patriottismo nazionale italiano, cioè di un amore per la Madre Patria sincero, schietto e leale, che ancora dura. Ora l’Unione Italiana, erede della UIIF, in base ai Trattati internazionali, gode di una autonomia che è e deve essere contemporaneamente storica, filosofica, sociale, politica, morale, scientifica, economica, organizzativa, gestionale, patrimoniale, finanziaria, amministrativa e contabile. Ne devono prendere atto tutte le istituzioni dello Stato italiano, compresa la Regione Friuli Venezia Giulia, che negli ultimi anni cessò di finanziare le scuole italiane de ogni ordine e grado attraverso l’Unione Italiana, introducendo invece un nuovo sistema di finanziamento distaccato, cioè fatto di singoli progetti che gli italiani stessi devono sapere dappertutto presentare all’Università Popolare di Trieste da soggetti privati, come da istituzioni varie, contro tutti i Trattati internazionali che regolano queste materie, minando così l’unitarietà e la compattezza stessa della Comunità Nazionale Italiana dell’Adriatico Orientale. E’ questo che voleva la regione Friuli Venezia Giulia? Ne dubitiamo sinceramente …! Ancora!
CONCLUSIONE
          La nostra nuova utopia, che collegherà orizzontalmente e verticalmente tutte le nostre istituzioni degli esuli italiani giuliani e dalmati dell’Adriatico Orientale, porterà grande conforto a tutti noi, personale, collettivo e comunitario solo se saprà interrogare, conoscere, e cercare di risolvere tutti i nostri problemi collettivi ancora irrisolti. E per questa grandiosa opera bisognerà ringraziare sinceramente prima di tutti i nostri due Presidenti che l’hanno lanciata e resa possibile, cioè il Prof. Avv. Giuseppe De Vergottini e il Dott. Maurizio Tremul. Amen
Dott. Claudio Deghenghi