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Venezia E Le Isole Dalmate

Venezia e le isole dalmate

In anteprima dal sito OBC Transeuropa alcune pagine di una guida dedicata alla Repubblica di Venezia – che uscirà a fine anno – primo volume della serie “Extinguished countries – Stati scomparsi”

di Giovanni Vale – 19/10/2020

Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa

Il mare unisce, il mare divide. È questa l’oscillazione che caratterizza nel tempo il rapporto tra le due sponde dell’Adriatico. La Croazia condivide con la Serenissima una stagione lunghissima. L’Istria e la Dalmazia fanno parte della Repubblica per tre, quattro, anche cinque secoli a seconda delle località. Assieme vivono l’ascesa, le guerre con gli Ottomani combattute fianco a fianco, il declino e la fine. A Venezia, dove i dalmati hanno una loro scuola, decine di calli, piazze e ponti sono dedicati a queste terre. Su tutti, gli Champs-Élysées di Venezia: la Riva degli Schiavoni.

“Da Lussino a Cattaro, le famiglie di armatori e capitani si arricchiscono e comprano casa a Venezia. I croati diventano una delle comunità più forti in laguna e nel tempo si sviluppa una relazione economica, culturale e artistica che influenza entrambe le sponde”, spiega la storica croata Lovorka Čoralić. Dall’Ottocento in poi, però, questa storia è reinterpretata. Per il nazionalismo croato, Venezia diventa un okupator, mentre a Pola, Mussolini definisce i croati “una razza inferiore”. La Seconda guerra mondiale e l’esodo di tanti italiani dalla Croazia finiscono per inquinare quel rapporto per molti decenni a venire.

Oggi, per fortuna, la storiografia si è liberata dal peso delle ideologie e i rapporti in Adriatico sono migliorati notevolmente. Il viaggio in Croazia vi porterà a visitare dei territori che nutrono per Venezia “un rapporto di amore e odio”, per dirla con le parole dell’etnologo croato Tomislav Pletenac. Ritroverete le tracce dell’eredità veneziana nell’architettura e nel dialetto, nell’arte e nella gastronomia. Incontrerete le tante comunità italiane ancora presenti e scoprirete una cultura marinara che, meglio di ogni altra cosa, vi farà rivivere questo stato scomparso.

Le isole

Più di 1.200 isole e isolotti sono disseminati lungo la costa della Croazia. Si passa da quelli più settentrionali, situati nel golfo del Quarnero, a quelli più meridionali, al largo di Spalato e Ragusa. Una cinquantina sono abitati tutto l’anno, ma si animano soprattutto d’estate, quando da queste parti arrivano milioni di turisti. Visitare queste isole, magari in barca a vela, è il modo migliore per capire come funzionava la Repubblica di Venezia, attraverso una costellazione di porti, baie e cittadine orientate sul mare. Dimenticate dunque le strade e seguite le rotte marittime alla scoperta della Dalmazia.

Le tre isole principali del Quarnero – Veglia, Cherso e Lussino – hanno un passato molto diverso. La più grande e vicina alla costa, Veglia, è dominio dei conti Frangipane fin dall’XI secolo. Il deteriorarsi delle relazioni tra i conti e la Serenissima porta nel 1481 alla deposizione dei primi e al passaggio dell’isola sotto il diretto controllo della Repubblica. Cherso, invece, è veneziana dal XII al XIV secolo, prima di essere acquistata definitivamente nel 1409 (assieme al resto della Dalmazia, per 100.000 ducati). Infine, l’isola più distante, Lussino, si sviluppa solo a partire dal XVI secolo, anche se oggi risulta più popolata e turistica di Cherso.

“Nel XV secolo, il primo insediamento veneziano sull’isola di Cherso, Òssero (Osor), è colpito dalla malaria. Da allora, cresce il ruolo della città di Cherso, che per questo motivo presenta oggi un’architettura completamente veneziana”, racconta Jelena Dunato, direttrice del Museo di Cherso. L’attuale capoluogo dell’isola diventa col tempo un centro di pesca e cantieristica navale (oggi si vede la loggia, la torre con l’orologio, le mura e tanti palazzi). A Veglia, invece, rimangono le mura, le porte e una torre, mentre di grande interesse, sull’isolotto di Cassione, è il convento francescano del 1447, con una ricchissima biblioteca.

Scendendo, s’incontra Pago, oggi detta l’Ibiza croata per via delle discoteche di Zrće beach. Al tempo della Serenissima, era nota, più prosaicamente, per le sue saline (e il formaggio, che si produce tuttora). Nell’arcipelago di Zara, la storia di Silba è legata ai Morosini, che furono feudatari dell’isola fino ad inizio Ottocento, mentre Ugliano e Pasman, così come l’Isola lunga (Dugi Otok), emergono nelle cronache veneziane per i trasferimenti di popolazioni del XVI-XVII secolo, quando arrivarono qui delle comunità in fuga dall’entroterra dalmata. Più a sud ancora, le belle Incoronate sono nel tempo acquistate dagli abitanti di Morter, dove si trova oggi un eccellente museo delle barche in legno⁠.

In generale, le isole rappresentano un universo a parte in Croazia. Cambiano non solo la mentalità (chiedete in giro cosa significano pomalo e fjaka), ma anche le problematiche del quotidiano: dal rifornimento d’acqua potabile ai collegamenti con la terraferma. Piccole o grandi che siano, tutte le isole abitate hanno una loro identità, con tanto di campanilismi locali. D’estate, le fešte (sagre) danno uno spaccato della vita isolana, ma un soggiorno d’inverno vi farà guadagnare il rispetto degli abitanti. Se volete tentare l’esperienza, considerate che le isole meridionali sono le più soleggiate… nonché le più importanti per Venezia.

Curzola (Korčula), ad esempio, marca non solo l’ingresso in Adriatico per chi arriva da Corfù o dall’Albania veneta, ma è anche al confine con la Repubblica di Ragusa, i cui territori iniziano con la penisola di Sabbioncello. Nel corso dei secoli, Venezia incentiva qui la viticoltura, tanto che nel 1525, cent’anni dopo il suo ingresso nella Serenissima (1420), “il 63% della superficie dell’isola è ricoperta da vigneti”, scrive lo storico svizzero Oliver Jens Schmitt (in Korčula sous la domination de Venise au XVe siècle). Dall’isola arrivano anche mandorle, fichi e pece per l’arsenale.

Come altrove sulla costa dalmata, anche a Curzola si registrano frequenti scontri fra nobili e popolari, con questi ultimi che non esitano a recarsi dal doge in persona per farsi valere. I palazzi Gabrieli (sede del museo civico), Ismaeli e Arneri testimoniano della ricchezza di alcune famiglie, mentre la cosiddetta “casa di Marco Polo” merita un discorso a parte. L’edificio risale al XV secolo, ben dopo la nascita del famoso viaggiatore (1254), ma è all’origine di una tradizione locale che ritiene che Marco Polo sia nato proprio qui, un punto di vista a dir poco indigesto tra i veneziani.

Oggi, la “casa” è diventata un museo dedicato alla Via della seta e alla battaglia di Curzola (1298). In quello scontro tra veneziani e genovesi, Marco Polo fu fatto prigioniero e, durante la sua detenzione a Genova, dettò a Rustichello da Pisa il suo celebre “Il Milione”. Non fu peraltro l’unico scontro al largo di quest’isola. Le mura e i bastioni di Curzola, in parte distrutti a fine Ottocento, sono la prova del suo ruolo militare, così come la festa religiosa del 15 agosto, che ricorda l’attacco ottomano del 1571, fallito – si dice – grazie all’intervento della Madonna (la flotta ottomana fece allora rotta sulla vicina Lesina e la incendiò).

Ma non è tutto. La danza guerriera detta moreška, che si diffonde nel Mediterraneo all’epoca delle crociate, va ancora in scena a Curzola durante l’estate (sopravvive anche la kumpanija, meno violenta e di ispirazione greca). I ricchi archivi dell’isola registrano poi tanti casi di contrabbando, tipici di una località di confine (in particolare, si vendeva sale a Drijeva, punto di contatto con l’Impero Ottomano, oggi a Gabela in Bosnia Erzegovina). Infine, la loggia, la porta di Terraferma, i tanti leoni marciani e i tesori contenuti nella cattedrale (a cui lavorò lo scultore curzolano Marko Andrijić) completano il quadro della Curzola rinascimentale.

Un’ultima curiosità: nella confraternita di Ognissanti (Svi sveti) troverete delle icone ortodosse che sarebbero state portate da Creta durante la guerra di Candia (1645–1669). Non si tratta dell’unico retaggio di quel conflitto. Il paesino di Račišće, 13 km a ovest di Curzola, è fondato proprio nel Seicento con l’arrivo di rifugiati dall’entroterra dalmata. La stessa cosa avviene a Sumartin sull’isola di Brazza (Brač), mentre nuovi gruppi di abitanti arrivano anche a Sućuraj (a Lesina/Hvar), lungo la riviera di Macarsca e, come abbiamo visto, nell’arcipelago zaratino (i musulmani espulsi dalla Dalmazia si rifugiano invece in Bosnia).

Lasciata Curzola, potete visitare Lesina, Brazza e Solta, lasciandovi guidare da Petar Hektorović. Il poeta croato pubblicò nel 1568, a Venezia, il suo celebre La pesca e i discorsi dei pescatori, un diario di viaggio in versi che costituisce uno dei primissimi testi in lingua croata. A Cittavecchia (Stari grad) di Lesina, rimane il palazzo Hektorović con delle iscrizioni in latino, italiano e croato scolpite dal poeta. Sulla stessa isola, ma nella città di Lesina, va inoltre visitato l’arsenale del 1612 che contiene al suo interno uno dei teatri più antichi d’Europa, da poco ristrutturato (al suo ingresso c’è la polena della nave di Lesina che guerreggiò a Lepanto).

A Lissa (Vis), infine, rimangono due torri veneziane e un castello (a Comisa/Komiža), oggi sede del museo della pesca. Ma soprattutto, a quest’isola è legata anche una battaglia navale che, nonostante avvenga dopo la fine della Serenissima (1797), ci aiuta a capire l’eredità di questo stato scomparso e il processo di formazione delle identità nazionali. Siamo nell’estate del 1866 e in queste acque si affrontano il Regno d’Italia, nato pochi anni prima, e l’Impero austro-ungarico, che da qualche decennio controlla gli ex territori della Repubblica di Venezia, compresa la città lagunare.

La marina asburgica comprende allora veneziani, istriani e dalmati, mentre sulle navi della marina italiana, si trovano piemontesi, toscani, napoletani, o ancora sardi e siciliani, per la prima volta uniti sotto lo stesso vessillo. Vince la flotta imperiale e dalle sue navi si leva il grido di guerra tipico della Serenissima: Viva San Marco! Ecco che nella storiografia italiana, la sconfitta di Lissa è vista come un esempio della scarsa integrazione (anche linguistica) tra le varie marine dell’Italia unita e come una prova delle diverse anime del giovane regno. Fu quasi una sfida tra mari: l’Adriatico contro il Tirreno.