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March 29th, 2024
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Affresco San Barbara Visinada

Dante, Giotto e la penisola istriana

L’arte istriana del tardo Duecento e di inizio Trecento propone una ricchezza di opere che presentano legami con la produzione dei grandi artisti dell’epoca

Varie celebrazioni e importanti anniversari – come il settecentenario dantesco che ricorre in questo 2021 che sta per chiudersi – possono essere l’occasione per soffermarsi sull’arte dell’epoca in cui vivevano personaggi che segnarono profondamente l’Umanesimo; Giotto e Dante ad esempio, il primo nelle arti figurative, il secondo per le sue opere che ne fanno il Padre della lingua italiana. Ma si conoscevano Giotto e Dante? Nelle fonti non si trovano riscontri certi, ma analizzando la Divina Commedia e il ricco repertorio iconografico di Giotto si può concludere che nonostante non ci siano prove documentate di un incontro tra i due va scartata l’ipotesi che la fama dell’uno non abbia raggiunto l’altro. Ad esempio, nel Purgatorio del Giudizio universale che si può ammirare nella Cappella degli Scrovegni a Padova Giotto dipinse uno accanto all’altro un poeta e un pittore. Sono in molti a ritenere che si tratti appunto dello stesso Giotto affiancato da Dante. Una tesi avvalorata anche dal fatto che in quegli anni risiedevano rispettivamente a Padova e a Treviso. Le fonti storiche non lo riportano, ma anche Dante inserì Giotto nel Purgatorio scrivendo (Purg. XI, 94 – 96): Credete Cimabue nella pittura, tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, si che la fama di colui è scura.

 

Rivalutazione dell’antichità

Per quanto riguarda l’arte figurativa in Istria all’epoca in moltissimi campi avviene un vero e proprio “risveglio”, importanti novità affiorano nell’urbanistica, si creano opere architettoniche, si costruiscono castelli, si dipingono quadri e affreschi – nei quali gli autori cercano di ottenere l’effetto “mosaico” e quello della “doratura” –, gli scultori lavorano non soltanto la pietra locale, ma – dopo secoli che non veniva usato –, anche il marmo. Nel campo delle arti si registra anche una splendida rivalorizzazione di tutto quello che risale all’antichità, alla mitologia greca, all’arte classica romana, ma anche a quella paleobizantina. Dal canto suo Dante descrive i monumenti di Pola. All’epoca una città importante; sede dei francescani istriani, amministrata dai Castropola fino al 1331, con maestranze che lavorano anche al di fuori della provincia, soprattutto nei luoghi collegati ai francescani.

Maestro Jacopo

È in quel periodo che a Capodistria, a Pirano, a Pola si sviluppa una serie di chiese con pianta a croce latina. Creano un gruppo specifico tardomedievale istriano. Quest’esempio di architettura lo vediamo dipinto nella Cappella degli Scrovegni dove addirittura la trifora e il portale – e non solo l’abside – ci ricordano San Francesco a Pola dove operava Maestro Jacopo (Iacobus de Pola), francescano e capobottega nella costruzione della chiesa con il monastero francescano e del Palazzo comunale, ma forse anche del castello di Dignano, che fu demolito nel Ottocento. Iacopo fu sicuramente coinvolto nella costruzione della chiesa del Santo a Padova: almeno due volte viene citato nelle fonti come proto(magister), capo della costruzione dell’architettura che all’epoca superava San Pietro e San Marco, a Roma rispettivamente a Venezia. Doveva pertanto conoscere Giotto, visto che pure lui lavorò a Padova. Non ci è dato a sapere se conoscesse anche Dante.

Le citazioni nella Divina Commedia

Nello specifico caso istriano e difficile sostenere che Dante abbia visitato l’Istria, ma varie ragioni impongono di escludere in modo assoluto questa possibilità. Le citazioni di Pola e del Quarnaro nella Divina Commedia, ma anche la menzione in una fonte parentina del primo trecento di un Alighiero Fiorentino nel Palazzo pretorio, potrebbero essere semplicemente delle citazioni artistiche, ma… Se ci soffermiamo sulle sculture dell’epoca è inevitabile guardare anche all’architettura pubblica e a quella religiosa e, di conseguenza, di scoprire anche le opere pittoriche. Il modo migliore per farlo è visitare le città istriane, almeno quelle principali. Scopriremo così che in alcune opere tutti e tre gli elementi – scultura, architettura, pittura – si incontrano. È il caso del Battistero di Capodistria con l’architettura duecentesca della rotonda, il portale trecentesco con stemmi, il primo rilievo di San Marco istriano nel portale (1317), ma anche l’affresco del Cristo Pantocratore identico a quello di Pomposa, che rivela in modo evidente come l’autore si sia formato osservando le opere del grande Giotto.

Lo splendore dei mosaici

Parlando di produzione dell’epoca non possiamo non menzionare il Ciborio della Basilica Eufrasiana di Parenzo in cui si incontrano scultura, mosaico, tempera e doratura. Nell’Eufrasiana non troviamo soltanto l’Angelo nel Ciborio, ma anche quello dell’Atrio e poi ancora un affresco riminese che ritrae una santa che ricorda Sant’Elena Imperatrice e ancora tante altre opere risalenti al periodo compreso tra il tardo Duecento e il Trecento. Altri affreschi interessanti in cui gli autori tentarono di far rivivere nella tecnica dell’affresco lo splendore dei mosaici sono quelli che si possono vedere a San Vincenzo (Maestro Ognibenus Trivisanus) o ad esempio a San Nicola a Racotole (Rakotule). Risale a inizio Trecento anche la crocifissione di San Martino a Bicicci (Bičići) datato pure dal podestà di Barbana il cui nome è riportato sull’affresco in versione latina: Bobosius. Il repertorio è dunque veramente ricco non soltanto in quantità, a farla da padrone sono comunque la scultura e l’architettura e per “toccarle con mano” si potrebbero percorrere diversi itinerari. Io ne ho scelto uno che pone l’accento sul patrimonio scultoreo. Vedremo in conclusione quanto, per le singole botteghe, fossero importanti l’arte classica romana e la mitologia greca.

L’Apostolo di Buie

Sopra il timpano della chiesa di San Servolo a Buie c’è la scultura di un Apostolo, quasi di firma di una colonna classica scanalata e fa parte di un gruppo di tre sculture che forse appartenevano tutte a un portale a timpano con tre basamenti simili a quello del portale di San Francesco a Pola. Le altre due sculture che facevano parte del gruppo di Buie si trovano ora a Carsette. Della stessa bottega nella casa dei Due Santi ci sono anche San Cassiano e un suo Alunno (forse San Clemente) con stilus e tabula d’attribuzione. Queste opere classiche ricordano molto la mano del Maestro dei crocifissi lignei di Montona e Gallignana, che tende a concludere le barbe con delle spirali, ma che propone cinture identiche a quelle che troviamo sulle sculture e con la tendenza del triangolo nel drappeggio dei perizoma. Anche i volti delle statue sembrano quasi identici a quelli realizzati dal Maestro. Si tratta di opere realizzate dallo stesso Maestro o nella stessa Bottega? Per tentare di capirlo ci sposteremo a Pola dove le bifore del monastero francescano sono quasi certamente uscita dalla stessa bottega in cui fu creata la trifora in fronte della Cappella degli Scrovegni a Padova.

Telamone e la ninfa

Ho sempre ritenuto che la corona sul capo della ninfa che adorna il Palazzo comunale a Pola fosse un dettaglio strano. In realtà scoprire il perché è molto semplice. Basta scrivere nel modo giusto il nome del telamone che si trova sulla parte sinistra (nell’angolo opposto) del palazzo, usando la “T” maiuscola. Telamone, con la “T” maiuscola appunto, è un eroe greco che prese parte alla caccia del cinghiale calidonio, alla spedizione degli Argonauti e alla prima distruzione di Troia ed è citato nell’Iliade e in altre opere. Era figlio di una ninfa dalle montagne di nome Endeide. Ecco svelato il perché della corona che in origine era ornata con pietre preziose: perché la ninfa era una regina e, sempre secondo il mito, anche Telamone era un re. Ma allora sul Palazzo ci sono i personaggi che, sempre stando alla mitologia greca, fondarono Pola attraverso il culto romano di Ercole. In epoca romana a Pola c’era sicuramente anche il tempio di Ercole e si chiamava Colonnia Iulia Herculanea Pollentia Pola. La porta più antica della città accanto ai consoli propone i rilievi con attributi di Ercole, si chiama appunto Porta Ercole, mentre tra i decori che ornano Palazzo pretorio ci sono pure numerose sculture leonine e la croce della Città. Altri elementi decorativi che si trovavano sul Palazzo sono oggi conservati nel deposito del Museo archeologico a Pola.

Telamone era un Argonauta, ed è interessante come il culto di Ercole si sia mantenuto nei secoli e sia stato raffigurato in modo così splendido nel 1296, anno in cui la bottega di Iacopo da Pola costruì il Palazzo pretorio. All’epoca il podestà era Bartolomeo Dei Vitrei, patavino, ritratto da cavaliere in marmo cipollino (lo stesso utilizzato per le colonne del Ciborio a Parenzo). Sono interessanti questi legami tra le di maestranze istriane, trevigiane, veneziane e in particolar modo quelle padovane dove il nostro Iacopo da Pola collaborava con Giovanni degli Eremitani nella costruzione delle mura (ma forse anche del Palazzo della Ragione a Padova).

Gli affreschi di Visinada

Il Maestro più apprezzato dell’epoca, come disse anche il Sommo Poeta, era Giotto che lavorò anche nei palazzi realizzati da Iacopo da Pola. Di sicuro nella chiesa del Santo, ma forse anche nella Cappella degli Scrovegni. Dipinse pure la nave capovolta del Palazzo della Ragione (le scale sono identiche a quelle del Palazzo di Bartolomeo a Pola). L’influsso del arte di Giotto a Padova attraversò tutta l’Europa. Guariento, Menabuoi, Altichiero, e molti altri Maestri portavano le proprie innovazioni e gli insegnamenti giotteschi anche verso l’Istria. Tra loro a Udine e specialmente nell’Alto Adige troviamo Martino da Verona, un pittore che lavorò a Padova, a Verona e anche in Istria, lo attesta un lavoro citato della bottega altoatesina negli affreschi di San Barnaba Apostolo a Visinada che propone elementi che facilmente si possono collegare a un Maestro e a una bottega altoatesina le cui opere si trovano in diverse chiese e Castel Roncolo (Bolzano). L’affresco raffigura il Giudizio universale. Mi ci e voluto del tempo per capirlo. Gli affreschi furono infatti scoperti e restaurati dalla bottega di restauratori di Artegna (Udine). Propongono tre scene in una con figure che richiamano in modo particolare quelle dell’Inferno di Dante. L’ispirazione è di chiaro stampo giottesco (fase patavina), ma forse ancora di più tratta dal battistero di San Giovani Batrista a Firenze, ben noto sia a Giotto, sia a Dante. Sul fregio sono dipinte delle figure senza aureola. Direi che si tratti dei ritratti di personaggi illustri, forse di Virgilio, la guida di Dante nell’Inferno, e forse anche Dante stesso; lo suggeriscono alcuni elementi caratteristici: il volto, il naso, i capelli, l’alloro… Tutti i personaggi si trovano in una sorta di Purgatorio e hanno lo sguardo rivolto verso l’Inferno: un affresco importante, dantesco, umanistico, ma oramai tardo trecentesco. Cristo giudice si trova al centro (Cristo in mandorla), il Paradiso (Cristo incorona la Madonna) è collocato a sinistra, mentre l’Inferno (Sette peccati capitali) è sistemato a destra. È chiara la citazione dello schema proposto da Giotto a Padova e la scena centrale propone elementi iconografici descrittivi più volte usati da Dante nell’Inferno.

Così, anche questa volta concludiamo un racconto che ci insegna come la semplice assenza di citazioni nelle fonti storiche capaci di attestare la presenza fisica di un personaggio celebre in un determinato territorio non deve essere vista come una tragedia. Il fatto importante è la ricchezza dell’ambiente culturale e artistico: questa può raccontare di una qualità che dona una soddisfazione che va ben oltre ogni nostra aspettativa.

Marino Baldini
Archeologo e storico dell’arte
Fonte: La Voce del Popolo – 27/12/2021